Tamoil: inquinamento accertato. Una condanna per disastro colposo
A commentare la sentenza d'appello, anche il giudice di primo grado Guido Salvini: “E’ una soddisfazione il fatto che l'inquinamento prodotto da Tamoil sia stato riconosciuto come effettivo disastro ambientale, compresi i risarcimenti in favore della collettività".
L’inquinamento è stato confermato, Tamoil ha inquinato la falda e i terreni sottostanti la raffineria, le canottieri Bissolati e Flora e il Dopolavoro ferroviario. Ma è disastro colposo, e non avvelenamento delle acque, per i giudici della corte d’assise d’appello di Brescia che dopo circa otto ore di camera di consiglio hanno condannato il solo manager Enrico Gilberti ad una pena di tre anni di reclusione. Assolti tutti gli altri imputati. Confermati, per le parti civili, i risarcimenti decisi in primo grado. Un milione di euro a titolo di provvisionale per il Comune e risarcimento in favore dei soci delle società canottieri Bissolati e Flora (complessivamente una trentina), di Legambiente e del Dopolavoro ferroviario. Riconosciuta una provvisionale da 10mila euro per i singoli soci delle canottieri (8mila per i nuclei familiari), 40mila euro per Legambiente e 50mila euro per il Dopolavoro ferroviario.
Nella sentenza di primo grado, emessa il 18 luglio del 2014, il giudice Guido Salvini aveva condannato Enrico Gilberti e Giuliano Guerrino Billi rispettivamente a sei e a tre anni per disastro doloso, mentre Mohamed Saleh Abulaiha e Pierluigi Colombo ad un anno ed otto mesi ciascuno per il reato di disastro colposo. Assolto Ness Yammine.
Non è dunque passata la richiesta del procuratore generale Manuela Fasolato di condannare gli imputati per il reato più grave di avvelenamento delle acque in concorso con il disastro ambientale doloso. E’ passata invece in parte la linea del primo giudice che aveva condannato i manager per aver inquinato la falda acquifera causata dalla rete fognaria gruviera. Gli imputati sono stati processati con il rito abbreviato. La motivazione sarà depositata entro 90 giorni.
“I giudici dell’appello hanno corretto gli errori macroscopici contenuti nella sentenza di primo grado”, hanno commentato le difese, rappresentate dagli avvocati Carlo Melzi d’Eril (con il collega Riccardo Villata nella difesa di Gilberti), Simone Lonati per Mohamed Saleh Abulaiha e Giacomo Lunghini per Ness Yammine. “E’ stato escluso sia l’avvelenamento delle acque che il disastro doloso”.
Soddisfatti anche gli avvocati delle parti civili (l’avvocato Alessio Romanelli per il Comune, i colleghi Gian Pietro Gennari e Claudio Tampelli per Bissolati, l’avvocato Vito Castelli per Flora e i legali Annalisa Beretta e Marcello Lattari per il Dopolavoro ferroviario). “L’impianto accusatorio ha retto”, hanno detto i rappresentanti delle parti civili, “l’inquinamento è stato accertato, e anche le responsabilità. Siamo soddisfatti della sentenza che premia un lavoro corale di tutti i difensori delle parti civili e che dimostra come la professionalità e l’armonia che si è creata in questo gruppo di lavoro ha potuto conseguire il risultato che le parti civili si erano prefissate”. “Questo risultato”, ha spiegato Gennari, “è stato reso possibile anche dalla disponibilità e dalla professionalità degli operatori dell’Archivio di Stato diretti dalla dottoressa Angela Bellardi, che hanno svolto un grosso lavoro di supporto alla ricerca. Così come non deve essere dimenticata, ma valorizzata, l’opera dei carabinieri del Nas di Cremona che hanno coadiuvato il pm Fabio Saponara durante il giudizio davanti al gup Salvini”. “E’ stata riconosciuta una responsabilità”, hanno continuato i legali, “era infatti impensabile che non si potesse ravvisare un disastro in una situazione anche accertata dai consulenti tecnici. E’ la conferma della bontà della nostra tesi volta ad ottenere un risarcimento per i soci delle canottieri”.
Soddisfatto, ma “a metà”, si è detto l’avvocato Sergio Cannavò, legale di Legambiente: “Rimane l’attribuzione di una responsabilità, seppure per un reato colposo. Il principio generale di ‘chi inquina paga’ è salvo, ma non c’è soddisfazione per l’assoluzione degli altri imputati e perché se al tempo del rinvio a giudizio fossero state vigenti le nuove norme sui cosiddetti ecoreati, probabilmente avrebbe potuto esserci il riconoscimento per il delitto di inquinamento ambientale”.
Se in primo grado il Comune era rappresentato come parte civile dal cittadino Gino Ruggeri, questa volta è stata la stessa amministrazione, attraverso l’avvocato Romanelli, a chiedere i danni. “Sentenza per noi positiva”, ha commentato in una nota il Comune di Cremona, “perché conferma il risarcimento a favore della collettività. Ora attendiamo il terzo grado che molto probabilmente verrà richiesto”.
A commentare la sentenza d’appello emessa dal presidente della corte Enrico Fischetti, dal giudice relatore Massimo Vacchiano e dai sei giudici popolari, è stato anche il giudice Guido Salvini. Sua la firma della sentenza di primo grado. “E’ una soddisfazione il fatto che l’inquinamento prodotto da Tamoil sia stato nuovamente riconosciuto e confermato, al di là delle singole responsabilità personali, come effettivo disastro ambientale, compresi i risarcimenti in favore della collettività. E’ un reato che ha avuto una definizione più precisa con la legge del maggio 2015 sui reati ambientali, legge attesa da molti anni e che questo processo ha contribuito a far approvare”.
Sara Pizzorni