Bimbo caduto dopo il parto La mamma: 'Nessuno venne ad assistermi'. 4 a processo
Aperto il processo nei confronti del ginecologo del reparto di Ostetricia dell’ospedale di Cremona Antonello Pinzoni, delle due ostetriche Chiara Cerioli e Sara Ziliani e della tirocinante ostetrica Amanda Fiorentini. Gli imputati sono accusati di lesioni colpose.
Si è aperto davanti al giudice Francesco Beraglia il processo nei confronti del ginecologo del reparto di Ostetricia dell’ospedale di Cremona Antonello Pinzoni, delle due ostetriche Chiara Cerioli e Sara Ziliani e della tirocinante ostetrica Amanda Fiorentini. Gli imputati sono accusati di lesioni colpose nella vicenda di una cremonese di 38 anni, Giuseppina, già mamma di tre figli, che alla 37esima settimana di gravidanza, il 13 ottobre del 2012, aveva partorito da sola e in piedi nella sua stanza in ospedale senza l’intervento del personale medico. In quelle condizioni, il bimbo, uscendo, era caduto a terra, procurandosi un ematoma alla testa. In aula hanno testimoniato i genitori del piccolo, che oggi ha quattro anni e sta bene. La famiglia si è costituita parte civile attraverso i legali Luca Curatti ed Alessandro De Nittis. “Mi hanno fatto i monitoraggi e i controlli di routine”, ha detto Giuseppina, che ha sostenuto di essere sempre stata seguita da una tirocinante. “Non stavo bene”, ha raccontato la paziente, alla quale era stato indotto il parto. “In sala parto sono andata in bagno e perdevo sangue, ma mi hanno detto che era tutto sotto controllo. Ho quindi chiesto di poter andare nella mia stanza che ho raggiunto con le mie gambe”. Ma Giuseppina stava sempre peggio e sentiva ancora necessità di andare in bagno. “Ho suonato il campanello, ma non è venuto nessuno. Ho chiesto a mio marito di uscire e cercare aiuto”. A quel punto la paziente, che era dilatata di un solo centimetro, si era alzata da sola nel tentativo di raggiungere il bagno, e proprio in quel momento aveva partorito. Il bimbo, uscendo, era caduto a terra. “Ero in piedi e ho sentito flop”, ha raccontato la donna, che ha sostenuto di non aver sentito fino a pochi istanti prima il bambino scendere. “Mia moglie aveva ancora il cordone ombelicale attaccato e il bambino era a terra”, ha sostenuto a sua volta Nicola, il padre del piccolo. “Mi sono fatto prendere dal panico e ho dato un cazzotto al muro”, ha ricordato Nicola, che poco prima era uscito a cercare aiuto. “Ma in reparto non c’era nessuno”. Dopo qualche minuto era arrivato di corsa il personale medico con il ginecologo Pinzoni. “Non sembrava molto tranquillo”, ha detto il testimone. Il 15 ottobre il piccolo, che si era procurato una frattura alla testa, era stato trasferito all’ospedale di Bergamo, dove il giorno dopo era stato sottoposto ad un’operazione chirurgica andata a buon fine. “Nostro figlio sta benissimo”, ha detto il papà, “ma abbiamo paura che un domani possa avere dei problemi, in quanto i medici non si sono sbilanciati”.
Davanti al giudice ha reso testimonianza anche Valeria, che all’epoca era la compagna di stanza di Giuseppina. “Ho sentito urlare e poi ho visto la signora in piedi. Ho visto cadere il bambino e battere la testa a terra. Nella stanza non c’era nessuno, mentre il marito era in corridoio. Dopo sono arrivati tutti e si sono catapultati vicino al bambino”.
Nel processo, il ginecologo è difeso dall’avvocato Diego Munafò, le due ostetriche dall’avvocato Isabella Cantalupo e la tirocinante ostetrica dall’avvocato Elena Guerreschi.
Per tutti gli imputati le ipotesi di reato sono quelle di lesioni colpose, mentre per la Cerioli e la Fiorentini è contestato anche un falso nella cartella clinica dove ci sarebbe stato scritto che era stata l’ostetrica ad eseguire il monitoraggio, mentre invece secondo l’accusa lo avrebbe compiuto la tirocinante.
Per la procura, il ginecologo e le ostetriche avrebbero determinato “l’espletamento del parto in condizioni di assenza completa di qualsivoglia assistenza e cura sanitaria adeguata con la conseguente caduta al suolo del feto al momento della nascita”. Non avrebbero quindi impedito che il piccolo “subisse lesioni personali dalle quali è derivata una malattia per un tempo superiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni , ma dalle quali deriverà una malattia probabilmente insanabile”.
Di “evento eccezionale ed imprevedibile” aveva a suo tempo parlato l’avvocato della difesa Munafò, “considerato che l’espulsione è avvenuta in assenza di qualsiasi sintomo premonitore”. “La paziente”, secondo il legale, “era stata sottoposta a serrato controllo cardiotocografico da cui risultava che non aveva contrazioni ed aveva una dilatazione di un solo centimetro a fronte dei tre minimi per cui si ritiene che una partoriente sia in travaglio. Non esistono inoltre protocolli o linee guida atti ad evitare l’accadimento di fatti come questo”.
Si torna in aula il prossimo 18 maggio con i testimoni della difesa.
Sara Pizzorni