Cronaca

Immigrato entra in una villa e trova il proprietario: 'Per favore, dammi qualcosa'

Entra in una villetta, ma trovandosi davanti il proprietario si spaventa e si limita a chiedere un po’ di denaro. Tentato furto o gesto disperato? Questo si chiede Irene Cremona, in una lettera inviata al nostro quotidiano, raccontandoci della vicenda di cui si è trovato protagonista il padre, pensionato 63enne.

L’episodio risale a venerdì 26 febbraio, al quartiere San Felice. Sono circa le 15 quando “un ragazzo di colore sui 25 anni d’età, entra nella villetta attraverso il cancello d’ingresso chiuso non a chiave. Essendo anche la porta d’ingresso dell’abitazione chiusa ma non a chiave, il migrante, incurante della possibile presenza del proprietario, entra, trovandosi faccia a faccia con mio padre, Enzo, uomo di robusta corporatura. Con decisione mio papà immediatamente intima al ragazzo di andarsene fuori casa, chiedendo il motivo di questa sua indesiderata presenza. Il giovane impaurito accampa assurde giustificazioni”. “Ho trovato il cancello aperto, ho pure bussato alla porta, nessuno ha risposto, dunque sono entrato” avrebbe detto il giovane.

Poi la supplica: “Dammi qualcosa, per favore”. Sempre secondo il racconto di Irene, il padre si rifiuta di consegnare i soldi, chiedendo al giovane di andarsene. “Impaurito, forse resosi conto della violazione di una proprietà privata, il giovane fugge a bordo della sua bicicletta implorando tuttavia di non avvertire la polizia. Con senso civico mio papà informa giustamente i vigili di quartiere che perlustrano la zona: nessuna traccia del ragazzo”.

“Alla luce dei fatti personalmente mi trovo indecisa tra la rabbia e la paura di sapermi in balìa di persone pericolose e che non hanno nulla perdere, e la compassione che provo per queste stesse persone che forse cercano solo di sopravvivere” scrive la donna nella sua lettera. “Purtroppo è abitudine, soprattutto nelle persone di una certa età, lasciare aperte porte e finestre, almeno di giorno, per il loro frequente andirivieni all’esterno della abitazione. D’altronde mio papà, anche dopo l’accaduto, rifiuta di chiudersi in casa a chiave, e per principio non intende attivare (almeno di giorno!) l’allarme, in quanto ritiene assurdo che debba limitare la propria libertà all’interno della propria casa. Mi chiedo allora: e se in casa invece di mio papà ci fossi stata io sola, oppure mia sorella o mia nonna sole cosa sarebbe accaduto? E se questo ragazzo fosse stato armato anche di solo coltello? Volutamente evito di esprimere giudizi razziali né tanto meno di integrazione. Tuttavia mi viene spontanea, usando la stessa espressione del ragazzo, una domanda forse utopica alle Istituzioni: dateci delle spiegazioni. Purtroppo è chiaro si tratta di un dramma per quei disperati, mentre invece per noi… cos’è per noi invece tutto questo?”.

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