Cronaca

Le donne di Aida in ricorso di Nadia Guessons: 'Ancora troppi femminicidi'

E’ passato ormai quasi un mese dalla morte di Nadia Guessons, strangolata dal marito mentre dormiva nel proprio letto, nella loro casa di via Dell’Annona, lo scorso 12 gennaio. Uccisa perché lui non accettava di essere lasciato. L’ennesimo femminicidio, l’ennesimo nome di una lista infinita. A ricordare Nadia, oggi, interviene Aida (Associazione italiana donne antiviolenza) di Cremona. E lo fa con un messaggio in ricordo della donna e di tante altre donne come lei.

“Quel giorno di un mese fa per Nadia avrebbe potuto essere come tanti altri: il lavoro, la casa, il cane da potar fuori” scrivono le volontarie dell’associazione. “La solita fatica, quella di una vita dura, fatta di sacrifici in un paese lontano, con due bambine da tirar grandi. Bisogna andare avanti, a testa bassa e con una bestia nel cuore, quella di un marito brutale e violento. Ma tutto si sopporta, fino a quando se ne ha la forza: ci sono le figlie, il pranzo e la cena da mettere insieme. Tutto si sopporta fino a quando la bestia esplode e allora basta. Basta minacce, basta botte, basta tutto. La decisione di lasciare quell’uomo, che già aveva denunciato per maltrattamenti, è stata fatale per Nadia. La sua furia ha colpito, inesorabile nel silenzio del tranquillo condominio di periferia, mentre i vicini dormivano.

Nessuno ha sentito nulla: non un rumore, non un grido. Solo dopo, quando ormai era arrivata la polizia, allora tutti hanno capito che la vita di Nadia era stata fermata. Quella vita che lei, disperatamente, cercava di riscattare, di riprendersi per sé e per le figlie”.

Oggi, a un mese dal suo omicidio, le donne di Aida vogliono ricordare Nadia, “perché la sua morte non sia stata invano, la sua come quella di tante, troppe donne che compagni-padroni provocano, dopo anni di umiliazioni e minacce, di dolore e paura. Troppi femminicidi, troppi orfani: troppe vite calpestate, vuoti a perdere del possesso confuso con l’amore, della paura scambiata per quieto vivere.

Perché queste tragedie non si consumino più nel chiuso delle mura domestiche, nel silenzio delle nostre vite frettolose e immunizzate al dolore altrui, tutti siamo chiamati in causa, tutti possiamo accogliere il dolore dell’altro, non rigettarlo, come se non ci riguardasse, e vedere piuttosto nell’altro un soggetto portatore di diritti. In fondo, la realtà che ci circonda cambia quando noi, concretamente, mutiamo la prospettiva del nostro sguardo sul mondo rispetto a quella solita. Oggi non è tempo di riflessioni sociologiche o di dati statistici: oggi, per tutti quelli che sono convinti che l’amore è ben altro, è un giorno di dolore ma anche di speranza, perché un modo per uscire da questa spirale odiosa di morte c’è, perché le donne sappiano che non sono sole, perché – in memoria di Nadia – tutte le donne vittime di violenza sappiano che un’altra vita è possibile”.

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