Cronaca

Camere Commercio, dipendenti in rivolta: 'Penalizzate le imprese'

Dipendenti della Camera di Commercio di Cremona in rivolta per la prospettiva del riordino del sistema camerale. La protesta emerge da un comunicato distribuito nei giorni scorsi, in cui i dipendenti evidenziano come il governo voglia "fare cassa con i soldi delle imprese".

Mentre la delegazione della Camera di Commercio di Cremona – guidata dal presidente Giandomenico Auricchio –  va a trattare con i pari grado di Mantova sul prossimo accorpamento delle due sedi, i dipendenti di piazza Stradivari fanno emergere tutta la loro preoccupazione sullo smantellamento del sistema camerale deciso dal Governo.  La protesta esce da un comunicato distribuito nei giorni scorsi, in cui i dipendenti evidenziano come il governo voglia “fare cassa con i soldi delle imprese”. “Le Camere di Commercio – continua il volantino –  con il loro patrimonio di immobili e di servizi, sono molto appetibili per alcuni soggetti privati privi di esperienza e non qualificati che, appropriandosene, li renderanno disponibili alle imprese con un aggravio di costi”.

A questo proposito, il personale della Camera di Commercio di Cremona ha aderito all’iniziativa nazionale unitaria di Cgil, Cisl e Uil che, con assemblee in tutte le Camere d’Italia, alla vigilia dell’emanazione del decreto del Consiglio dei ministri dedicato alla riforma camerale, dà avvio alla mobilitazione contro una riforma che svuota le Camere di funzioni e servizi qualificanti dedicati alle imprese.

Secondo i dipendenti, il Governo vuole “svendere le partecipazioni nelle grandi opere logistiche e strutturali del territorio, nonché eliminare servizi essenziali”.

Numerose le funzioni che rischiano di perdersi: i contributi e finanziamenti alle imprese, il sostegno all’internazionalizzazione, il sostegno ai Confidi, i servizi di conciliazione e mediazione, le camere arbitrali, il servizio di marchi e brevetti, i corsi di formazione, gli studi economici e i sostegni a enti terzi.

“Siamo indignati per questo assurdo spreco di competenze e di capacità operative – evidenziano i dipendenti -. Siamo preoccupati per il nostro futuro lavorativo ma riteniamo ancora più grave che venga penalizzato il tessuto imprenditoriale di Cremona e anche il territorio nel suo complesso”.

Intanto, dopo l’incontro svoltosi a Mantova, le associazioni di categoria cremonesi mantengono una posizione decisa rispetto all’importanza del mantenimento della sede legale a Cremona. Al loro fianco si schiera anche Franco Bordo, deputato di Sinistra Italiana. “E’ importante che la sede legale della Camera di Commercio resti a Cremona perché la forza delle Associazioni di categoria della nostra provincia sia preservata, perché siano garantiti i servizi all’impresa, perché sia mantenuta la continuità territoriale” evidenzia. “Nella prospettiva della riforma della Pubblica Amministrazione e della fine delle Province così come le conosciamo, occorre mantenere un equilibrio tra il nostro territorio e quelli limitrofi; laddove in altri settori si è ceduto, è bene mantenere salda la posizione su questa partita, non solo nella logica di un rilancio e di una centralità decisionale dell’economia cremonese, ma anche dell’area del cremasco, che risulterebbe ulteriormente penalizzata da un eventuale decentramento a Mantova”.

“Al momento la situazione sembra essere in stand by, ma, in vista dei Decreti attuativi, occorre una vicinanza della politica locale alla Camera di Commercio di Cremona, perché un pezzo importante del nostro territorio non vada perduto in termini di autonomia e rapporti di forza”, conclude Bordo.

IL DOCUMENTO DELLE RSU

Continuare ad assicurare i servizi sin qui prestati al tessuto economico ed imprenditoriale, continuare a sostenere la competitività del territorio, salvaguardare l’occupazione e la professionalità dei dipendenti camerali: sono queste le istanze dei lavoratori della Camera di Commercio di Cremona, in stato di agitazione per l’imminente varo, da parte del Consiglio dei Ministri, del decreto legislativo di riordino del sistema delle Camere di Commercio.

Un decreto che, in contrasto con la legge delega approvata a metà 2015 che doveva garantire i livelli occupazionali, prevede ora un forte ridimensionamento delle funzioni degli enti camerali e un taglio consistente del personale, oltre a ribadire la necessità, per le Camere che non raggiungono la soglia delle 75mila imprese iscritte, come la nostra, di accorpamenti con altre realtà territoriali.

Se venisse confermato il testo della bozza in circolazione, il decreto comporterebbe, di fatto, un brusco stop a una serie di servizi e di azioni a sostegno delle imprese, dei cittadini e della competitività dei territori, senza portare nessun beneficio reale alle risorse dello Stato.
Le Camere di Commercio, infatti, non solo si autofinanziano e non chiedono contributi allo Stato, ma da anni utilizzano i costi standard e costituiscono, secondo un’indagine della Vgia di Mestre del 2014, un esempio di efficienza, facendo della semplificazione e delle nuove tecnologie una delle principali linee di azione, nell’ottica di promuovere tutto ciò che semplifica la vita degli imprenditori.

La Camera di Commercio di Cremona, in particolare,si colloca fra le più efficienti d’Italia, restituendo al territorio il 78% delle risorse derivanti dall’introito del diritto annuo, contro una media nazionale di riferimento di circa il 60%.

Internazionalizzazione, innovazione, sostegno al credito, formazione, sostegno alla cultura, alle università e alle infrastrutture del territorio, fra cui la Fiera di Cremona – tutte fondamentali leve di competitività – sono fra le attività che caratterizzano l’operato della Camera di Commercio di Cremona.
Funzioni svolte con competenza dai dipendenti camerali, che possono vantare tassi di assenza dal lavoro estremamente bassi e una professionalità di eccellenza nel panorama della Pubblica Amministrazione.

Il taglio che colpisce la categoria (sono stimati almeno 3.000 esuberi a livello nazionale) rappresenta una penalizzazione a cui i dipendenti camerali dicono NO con forza, decretando lo stato di agitazione in tutta Italia.
NO a una riforma che priverebbe le piccole e medie imprese (che rappresentano la quasi totalità del tessuto economico provinciale) dell’assistenza e del sostegno sempre assicurato, costringendole a rivolgersi al mercato con costi inevitabilmente maggiorati, NO a una riforma che bloccherà il sostegno alla valorizzazione del territorio e ancora NO a una riforma che comporta un assurdo spreco di competenze e di capacità operative fin qui assicurate dal personale camerale.

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