Cronaca

Morì di sepsi dopo il parto, tre medici rinviati a giudizio

Tre medici del reparto di Ginecologia dell’ospedale di Cremona sono stati rinviati a giudizio dal gup con l’accusa di omicidio colposo. Per la procura, sarebbero i responsabili della morte di una mamma di 41 anni che una settimana prima aveva partorito un bimbo nato morto.

Da sinistra la parte civile con l'avvocato Soldi e i legali della difesa Munafò e Cantalupo

di Sara Pizzorni

Tre medici del reparto di Ginecologia dell’ospedale di Cremona sono stati rinviati a giudizio dal gup Christian Colombo con l’accusa di omicidio colposo. Per la procura, sarebbero i responsabili della morte di una mamma di 41 anni che una settimana prima aveva partorito un bimbo nato morto. La donna, già madre di due bambini, aveva sempre partorito all’ospedale di Gavardo, ma in questo caso, essendo già stata informata che il feto era morto e non essendo quell’ospedale attrezzato per casi come questo, era stata accompagnata dal marito a Cremona.

A processo davanti al giudice Pio Massa andranno il cremonese Alberto Rigolli, difeso dall’avvocato Paolo Vinci, del foro di Milano, Aldo Riccardi, della provincia di Pavia, assistito dall’avvocato Diego Munafò, di Milano, e Tazio Sacconi, piacentino residente a Cremona, difeso dall’avvocato Isabella Cantalupo. Parte civile attraverso l’avvocato Michela Soldi si è costituito il marito della vittima, Rusi Slavov, 36 anni, di origini bulgare ma da anni residente a Cremona dove ha una bottega di liuteria in via Janello Torriani.

Secondo l’accusa, i tre medici (Riccardi in qualità di primario, Sacconi e Rigolli come medici di guardia) avrebbero provocato, “per negligenza, imperizia e imprudenza, violando leggi, regolamenti, ordini e discipline”, la morte di Daniela, deceduta il 6 gennaio del 2014 “a causa dell’evoluzione di una sepsi batterica sfociata in shock settico irreversibile”. Il 3 e il 4 gennaio di un anno fa, presso il reparto di Ginecologia, i tre medici avevano avuto in cura la donna che il 30 dicembre del 2013 aveva partorito Christian, che purtroppo era nato morto.

Secondo la procura, nei giorni successivi gli imputati non avrebbero riconosciuto i sintomi della paziente, “omettendo, pur avendone l’obbligo e la responsabilità, di richiedere una consulenza infettivologica urgente” e lasciando la donna “in una condizione di oggettivo difetto di assistenza, consistito in assenza di coordinazione della condotta medica, esitata nel mancato riconoscimento e valutazione dei chiari segni clinici che avrebbero consentito l’anticipazione diagnostica, già almeno 48 ore prima del decesso, della condizione di sepsi in atto”, una condizione che tra l’altro non si era ancora aggravata. Proprio per questo, secondo l’accusa, “un trattamento conforme alle linee guida avrebbe potuto controllare la malattia e impedire la morte della paziente”.

In particolare, così come si legge nel capo di imputazione, il 3 gennaio del 2014 i medici non avrebbero “dato rilievo allo stato di astenia e dolori diffusi che fanno parte del corredo sintomatologico della sepsi” e ai quali gli imputati non avrebbero saputo dare una spiegazione. Nessuno avrebbe poi tenuto conto che le visite psicologiche e psichiatriche precedenti non avevano rilevato “significativi disturbi psichici come possibile causa del quadro clinico di prostrazione della paziente”. Sarebbe poi stata “inspiegabilmente omessa la necessaria ripetizione degli esami di emocromo e Pcr, già significativamente alti il giorno precedente” e “il sospetto di sepsi, già formatosi nella giornata precedente”, non avrebbe ricevuto “la dovuta attenzione che le condizioni della paziente richiedevano”.

Il giorno dopo, 4 gennaio, erano stati ripetuti “esclusivamente emocromo e Pcr”, ma non sarebbero stati fatti altri esami “per verificare una eventuale compromissione d’organo in atto”; inoltre i risultati degli esami (Gb e Prc) non avrebbero trovato alcuna valutazione clinica “malgrado la loro persistente risalita e la loro rilevanza diagnostica”.

Il processo si aprirà il prossimo 11 febbraio.

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