Cultura

Eclisse della ragione, social e commenti: usare la testa

“Eclisse della ragione” è il titolo di un’opera scritta nel 1947 dal filosofo tedesco Max Horkheimer, in cui espone una lucida analisi della ragione dopo la tragedia della seconda guerra mondiale.

Secondo il saggio di Horkheimer, la ragione soggettiva è incapace di cogliere la “ragione oggettiva” di un più ampio contesto razionale. Horkheimer aveva davanti agli occhi la tragedia della guerra. Ma non pare che oggi, dopo settant’anni, la ragione sia capace di cogliere l’oggettività delle cose.

Sono riflessioni che spesso mi tornano alla mente osservando il comportamento delle persone sui “social network”, oggi tanto di moda, e nelle lettere ai giornali.

I “social network” e le lettere ai giornali sono diventati un puro sfogatoio. Come ha recentemente osservato Umberto Eco, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in comunicazione e media da parte dell’Università di Torino (si veda “La Stampa” dell’11 giugno 2015) “Prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, e di solito venivano messi a tacere. Ora chi scrive ha lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. Ma è normale: capita in tutte le comunità numerose. Nei gruppi con più di cinquanta persone quelli che si espongono di più sono sempre gli imbecilli”.

Gli ultimi mesi, a Cremona ed altrove, hanno fornito numerosi esempi di questa eclisse della ragione, per cui l’individuo appare sempre più incapace di cogliere la razionalità delle cose.

Inizierò da un tema che è oggetto di accanite discussioni, in cui, di volta in volta, si colpevolizzano il Governo, l’Europa, la Chiesa, i Sindaci ed i Prefetti, la Caritas, i sacerdoti e le parrocchie.

Mi riferisco al fenomeno dei fuggiaschi dalle zone di guerra dell’Africa e del Medio Oriente.

L’egoismo, venato di razzismo, trionfa: si ritiene che i rifugiati siano, senz’altro, affetti da gravi malattie, che gli stessi siano pronti ad insidiare donne e bambini e, comunque, sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali.

Si dimentica che si tratta di un fenomeno epocale, paragonabile all’emigrazione di un secolo fa verso gli Stati Uniti, il Brasile e l’Argentina (anche il padre del Papa era un emigrante). Si dimenticano gli orrori che la guerra ha provocato soprattutto in Siria, Somalia ed Eritrea (queste ultime già colonie italiane, che il nostro paese non ha saputo convenientemente avviare all’indipendenza).

Si dimentica che, i rifugiati (che, fra l’altro, sperano di raggiungere la Germania, la Gran Bretagna e la Svezia, limitandosi a transitare per l’Italia) non sono selvaggi ma che fra loro vi sono diplomati e laureati. Si dimentica, soprattutto, che gli uomini non si possono lasciar annegare in mare o respingere con le navi da guerra.

Eppure, negli anni settanta, quando i vietnamiti, dopo la resa di Saigon e la vittoria del regime comunista, fuggivano dal loro paese su piccole imbarcazioni con cui affrontavano l’oceano (si parlava, allora, di “boat people”) vi fu, verso di loro, un grande moto di solidarietà. Ma era una solidarietà espressa solo a parole, che costava poco, dato che il Vietnam si trovava a migliaia di chilometri di distanza.

E chi si indigna contro i rifugiati, magari, è chi  si commuove di fronte agli animali e si lamenta del trattamento, molte volte incivile, cui gli animali sono sottoposti (chi non ricorda le polemiche sul canile e sul gattile?).

E che dire dei disordini verificatisi a Cremona il 24 gennaio, e ripetutisi a Milano il 1° maggio, in occasione dell’inaugurazione dell’Expo? Si è affermato che il Sindaco (che non ha competenza in materia) avrebbe dovuto vietare la manifestazione. Si è affermato, ancora, che le forze dell’ordine avrebbero dovuto impedire con ogni mezzo ai manifestanti di sfilare. Ma si dimentica che se le manifestazioni (a Cremona come a Milano) fossero state vietate e i manifestanti affrontati con la forza, questi avrebbero potuto mettere a ferro e fuoco la città intera (e non soltanto alcune strade). La tattica “elastica” delle forze dell’ordine ha salvato Cremona (come Milano) da ben più gravi danni provocati da una masnada di “black bloc” infuriati.

Si sono poi levate voci altissime per richiedere che i manifestanti risarcissero i danni, quasi che le pubbliche autorità fossero determinate a lasciar correre.

Ma, ancora una volta, da tali richieste, emerge l’eclisse della ragione. La responsabilità, civile e penale, è personale e, se non si individuano le persone che hanno commesso i reati e provocato i danni, non è possibile ottenere nessun risarcimento (posto che i responsabili abbiano i mezzi economici per pagare).

Anche la neve, quest’anno caduta in abbondanza, ha offerto agli “imbecilli” (di cui parla Umberto Eco) l’occasione per sentenziare. Molti si sono lamentati soprattutto della mancata pulizia delle strade, ma ben pochi si sono dati da fare per pulire i marciapiedi davanti alla loro casa o al loro negozio. Dalle lamentele emergeva una forte carica di livore. Pare di capire che molti avrebbero voluto vedere il Sindaco spalare personalmente la neve, per poter poi dire che un siffatto comportamento non è dignitoso per un primo cittadino.

In verità, la pulizia delle strade dalla neve è impedita, il più delle volte, non dalla cattiva volontà degli amministratori locali, ma soltanto dalle auto parcheggiate che rendono difficoltoso l’uso delle ruspe.

Discorso simile può essere fatto con riferimento al pianto greco sulle città sporche. Ma, purtroppo, della sporcizia siamo noi i primi responsabili, dato che lo sporco non nasce per partenogenesi. Se tutti avessero un comportamento civile, per terra vi sarebbero solo le foglie cadute dagli alberi.

I soliti “imbecilli” si sono scagliati anche contro le cooperanti italiane catturate in Siria e successivamente liberate. Si è detto che lo Stato avrebbe dovuto farsi restituire da loro il riscatto pagato per la liberazione. A parte che non vi è alcuna certezza che una riscatto sia stato effettivamente pagato, chi, a gran voce, ha chiesto alle cooperanti di pagare, dimenticava che ben difficilmente queste ultime avrebbero potuto rimborsare una somma di alcuni milioni di euro.

Lascio per ultima l’affermazione più grottesca e stravagante che ho avuto la ventura di leggere mesi addietro. Si è scritto che nessun regime politico ha valorizzato le donne come il fascismo. Il ruolo della donna sotto il regime appare chiaramente nel film “Una giornata particolare” di Ettore Scola: la protagonista, interpretata da Sofia Loren, non è certo una donna “valorizzata”. Ma è un film da “intellettuali”, che ci si guarda bene dal vedere.

Si dimentica che le donne non avevano diritto di voto e che nessuna donna fece mai parte né della Camera dei Deputati, né della Camera dei Fasci e delle Corporazioni. E le donne non potevano neppure appartenere al partito, ma erano relegate in associazioni collaterali e subordinate, come i fasci femminili e le massaie rurali.

L’eclisse della ragione, in conclusione, può essere vinta solo con la riflessione razionale.

Quasi sempre la verità è banale, ma non la si vuole vedere.

E se la si vede si è definiti, come sarò definito io, degli inguaribili buonisti.

Antonino Rizzo

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