Cronaca

Profughi, mons.Perego: 'Manca piano organico che coinvolga i Comuni'

“Si è concluso in fondo al nostro mare Mediterraneo il viaggio di una bambina siriana di 10 anni, che ha perso la vita perché l’insulina che l’avrebbe salvata era finita in mare. La sua famiglia è riuscita a sbarcare ad Augusta con altre 300 persone in fuga. Una tragedia grave, ma non meno di quella successa in provincia di Treviso e a Roma, dove ci si è rifiutati di accogliere alcune persone migranti, come i genitori e i figli della famiglia siriana sbarcata ad Augusta”. Sono parole del direttore generale della Fondazione Migrantes, il cremonese monsignor Giancarlo Perego, che ha ripreso i recenti casi di cronaca per evidenziare che le responsabilità “sono di tutti. Dello Stato, che in questi anni, con governi diversi, ha cercato sempre di risolvere con l’emergenza e l’improvvisazione” un fenomeno che “è strutturale, se si pensa che i migranti forzati tra il 2013 e il 2014 sono passati da 51 milioni a 60 milioni”.

Manca, per Migrantes, “un piano organico che coinvolga ogni Comune nel prevedere tra i propri servizi sociali l’accoglienza di un richiedente asilo o di una famiglia di rifugiati”. Le risorse stanziate in questi anni per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati “anziché costituire un patrimonio ulteriore per i Comuni, così da rafforzare servizi per tutti, sono andate ad arricchire multinazionali che hanno gestito grandi centri o enti o cooperative mafiose o imprenditori edili senza scrupoli”. “Uno Stato – prosegue monsignor Perego – non può trovarsi in ginocchio per l’incapacità di accogliere 75mila persone”. In un’Italia dove si muore più che nascere, dove 100mila giovani sono emigrati, una città in più di giovani è “una risorsa straordinaria se gestita bene. Ma di fronte a carenze e incapacità non è possibile favorire fenomeni di contrapposizione sociale e atteggiamenti di rifiuto”, che alcune forze politiche “alimentano in continuazione”. E aggiunge: “Anche le nostre famiglie e comunità cristiane, come è successo a Crema (una diocesi con una straordinaria tradizione sociale), rischiano di respirare la stessa aria di paura, di rifiuto e di contrapposizione ai migranti, anziché costruire ‘segni alternativi’ che possano indicare la strada verso cui andare per costruire un futuro migliore”.

“Ci aspetta – si legge nella parte conclusiva – un lavoro culturale e sociale nelle nostre Chiese che eviti da una parte il ritorno al collateralismo nel lavoro sociale rispetto allo Stato, sostituendosi alle sue responsabilità”, e che dall’altra parte “eviti il rischio di non sentirsi responsabili di un nuovo impegno sociale, per paura di vedere contrari e allontanarsi alcuni fedeli delle nostre comunità, con gesti e opere che siano segno di un amore ai lontani che si sono fatti prossimo”.

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