Cultura

'75 anni, tanti auguri Mina' dalla tua Cremona

Ciao Mina, settantacinque volte grazie dal sito della tua città. Oggi tutta Italia festeggia il tuo compleanno. Cremona lo fa in modo speciale perchè dal 1958, anno del tuo esordio come cantante, la città ha avuto in Italia e nel mondo un valore aggiunto in più con l’abbinata alla “Tigre di Cremona”. E tu hai sempre ricambiato restando legata alla tua città. Hai portato il nostro dialetto al grande pubblico Rai (splendido il duetto con Tognazzi, le canzoni cantate in meneghino e in cremunées con Bramieri), hai persino inciso uno splendido Cd intolandolo “Cremona” con in copertina lo straordinario montaggio della nostra bella piazza del Duomo, con il municipio illuminato dalle fiaccole. Per tanti anni sei stata una visitatrice discreta, agli orari impossibili. Da Richetto per un gelato che ricordava sapori antichi, da Saronni per un cotechino alla vaniglia, da Lanfranchi per un pasticcino oppure da Nevart per una cornice particolare. Era il tuo mondo di ragazza che volevi conservare a tutti i costi. Anche adesso arrivi di sera, ma sempre più raramente, a trovare i parenti di tuo marito Eugenio Quaini, al palazzo di corso Matteotti o in cascina a Stagno Lombardo. Auguri Mina, “te sét amò la nostra regàssa”.

Il debutto pubblico di Mina, raccontano i suoi biografi, si ebbe alla sagra di Rivarolo del Re, il 22 settembre 1958, Ad esibrisi in pubblico Mina ci aveva già provato nell’estate dello stesso anno. Era alla Bussola di Viareggio, in Versilia. Sul palco c’era don Marino Barreto junior, voce nasale che faceva sognare a far da colonna sonora a quell’agosto torrido nel segno della Vespa e dell’ormai prossimo boom economico. Come ogni sera veniva invitato qualcuno dal pubblico a prendere in mano il microfono, ad esibirsi con tanto di orchestra, una anteprima della “Corrida, dilettanti allo sbaraglio”. Mina ci provò. Cantò “Un’anima pura” successo di Barretoche lei interpretò alla sua maniera, mettendoci molta più voce e molto più ritmo. Lasciò tutti a bocca aperta: finora avevano sentito quella canzone sussurrata, mai urlata.
Ma Anna Maria Mazzini non voleva essere solo una dilettante. Sognava già di fare la cantante. In casa tutti sapevano della sua passione per la musica. D’altra parte il papà Giacomo, Mino per i familiari, suonava il violino; Alfredo, il fratello chiamato Geronimo per quel naso aquilino da fiero capo indicano, andava pazzo per la musica americana e poi per casa, nel bel palazzo di via Cesare Battisti, giravano spesso quattro ragazzi, amici di Mina, che portavano padelloni di vinile con musica jazz, blues e rock and roll. Erano Fausto Coelli, Giorgio Levi e i fratelli Donzelli (Nino e Renzo), giovani musicisti che avevano messo su un complessino: gli “Hayy Boys”, acclamati nelle feste studentesche e con alle spalle già alcuni ingaggi nei night della zona.
Mina frequenta l’Istituto Tecnico Commerciale, era al penultimo anno di ragioneria. Brava a scuola, aveva anche un discreto futuro come ondina: faceva parte della scuola di nuoto della Baldesio, la più vecchia e la più esclusiva delle società canottieri di Cremona. La famiglia era benestante. Il padre, Giacomo Mazzini, aveva una fabbrica di colle e vernici a Mezzano, sul piacentino, poco oltre il ponte di Po. Sognava di avere in azienda la sua Anna Maria, appena avesse preso il diploma. Lei però aveva già scelto un’altra strada, quella di cantante. Aveva provato qualche volta con gli “Happy Boys”, voleva diventare la loro voce. Soltanto il batterista, Fausto Coelli, grande amico di Geronimo, la incoraggiava; gli altri del gruppo per accontentarla le dicevano: “qualche sera ti facciamo cantare”, ma il debutto era sempre rinviato.
“La sera tanto attesa arriva però martedì 22 settembre 1958 – racconta Fausto Coelli che da tempo ha lasciato la batteria per diventare imprenditore – Noi eravamo stati scritturati per quattro serate alla sagra autunnale di Rivarolo del Re. Il martedì era la sera dei big, quella dove la balera faceva il pienone. Dovevamo fare da spalla a Flo Sandon’s, moglie di Natalino Otto, Avevamo deciso di portare con noi quella ragazzina: per saggiare il terreno avrebbe dovuto fare tre-quattro canzoni, quelle che andavano alla grande oltreoceano”.
Il primo scoglio da superare era il permesso dei genitori, di mamma e papà Mazzini. “Cantante? Mai” diceva la signora Gina. Quella sera, per uscire, Mina dovette inventarsi una bugia: “vado a ballare a Rivarolo”, aveva detto. Pantalone nero stretto alle caviglie e dolce vita nera. Mina salì sulla macchina di Fausto Coelli con meta Rivarolo: “Già alla prima canzone Mina aveva stregato il pubblico – continua Coelli – I ragazzi erano stufi dei soliti balli lent, dei cantanti melodici: volevano delle novità, desideravano ballare il rock come i loro coetanei americani. In Italia avevano etichettato come “urlatori” i seguaci dei nuovi filoni musicali. Mina si sentiva una di loro. Ma, oltre alla voce, lei aveva anche un’altra dote: sapeva muoversi, stare sul palcoscenico, agitare quelle sue lunghe mani seguendo il ritmo. Fu un successo travolgente”. A quella serata ne seguirono diverse altre nei paesi attorno a Cremona. Davide Matalon, manager degli “Happy Boys”, trovò una scrittura di sei mesi in Turchia per Mina e i suoi amici. Voleva dire abbandonare la scuola. “Niente da fare” disse papà Mazzini. Così Mina rinunciò alla tournèe, ma convinse Coelli ad abbandonare il gruppo e a costituire un nuovo complesso: nascevano “I Solitari”, gli stessi che qualche mese dopo entrarono in sala d’incisione con lei per i primi singoli.
Nella formazione originale de “I Solitari” figuravano: Fausto Coelli alla batteria, Lamberto Fieschi al pianoforte, Lino Pavesi al sax, Ermanno Scolari al basso elettrico ed Enrico Grossi alla chitarra, poi sostituito da Enrico Modesti. Coelli ricorda le prime prove del gruppo, ospite della tavernetta dell’Hotel Continental a Cremona, con Mina che cantava a piena voce. Arrivarono poi le prime scritture, nei paesi della provincia di Cremona e del milanese. Coelli e gli “Happy Boys” di ritorno dalla Turchia, riuscirono a convincere Davide Matalano, produttore sempre in cerca di nuovi talenti, a muoversi da Milano per sentirla cantare ed eventualmente farle incidere un disco. A Matalon quella spilungona piacque molto ma negli ultimi tempi aveva avuto troppe delusioni come talent scout. Pensò così di dirottare Mina verso la “Juke Box”, casa discografica di Carlo Alberto Rossi. In attesa dell’appuntamento, Matalon affittò una sala d’incisione e diede incarico a Giulio Libano, suo direttore artistico, di farle incidere quattro provini: una canzone napoletana, una inglese e un paio in italiano. Avrebbe poi mandato tutto a Rossi. A metà mattina, Libano cercò disperatamente Matalon: “corri, vieni a sentirla: è straordinaria” disse concitato al telefono. I provini includevano “Malafemmena” e “Be bop a lula”. Più che prove sembravano dischi fatti. “I Solitari” e Libano convinsero Matalon a non “cedere” la cantante a Rossi. Incise così i suoi primi 45: “Malatia” e “Non partir” in italiano (etichetta “Italdisc”) con il nome di Mina e due in inglese, “Be bop a lula” e “When” (etichetta “Broadway International”) con il nome di Baby Gate. I dischi superarono le centomila copie, un record per quegli anni. Poi arrivarono “Nessuno” e “Tua”. Era nato il mito Mina.

m.s.

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