Maxi truffa alle aziende Dopo nove anni arriva l'assoluzione
Nella foto, il giudice Beluzzi ascolta un teste via Skype
Dopo nove anni dai fatti, risalenti al 2005, si è chiuso con una sentenza di assoluzione il processo sulla maxi truffa ai danni di aziende di mezza Italia che ha visto sotto accusa Domenico Currà, di Vibo Valentia, titolare della ditta Edil Cer di Castelleone che si occupava della compravendita di materiali edili, Giuseppe Fogliaro e i due figli di quest’ultimo: Francesco, nato a Crema, ed Enzo Pietro, nato in provincia di Reggio Calabria. Il collegio presieduto dal giudice Pierpaolo Beluzzi (a latere i colleghi Giulio Borella e Cristina Pavarani) ha assolto tutti dall’associazione per delinquere: Curra’ e Giuseppe Fogliaro “perché il fatto non sussiste”, mentre per l’altra accusa di truffa, “per non aver commesso il fatto”. Per Francesco ed Enzo Pietro, invece, i reati di truffa sono stati dichiarati estinti per intervenuta prescrizione. Anche per il pm Laura Patelli non è stata raggiunta la prova della truffa in quanto durante le indagini non è stato appurato se effettivamente ci fosse, da parte degli imputati, una volontà di raggirare le vittime o se semplicemente l’azienda si trovasse in uno stato di sofferenza economica e quindi non fosse stata più in grado di onorare i suoi obblighi.
Per l’accusa, Currà si sarebbe avvalso della “stabile collaborazione” dei Fogliaro, che avrebbero mantenuto i contatti con i fornitori ed occultato la merce. I quattro avrebbero carpito la fiducia delle ditte fornitrici, ed agendo in nome e per conto della Edil Cer si sarebbero procurati un profitto di 435.820 euro, acquistando dalle società ingenti quantitativi di beni che erano stati stoccati in un deposito nel cremonese di proprietà della Edil Cer per poi essere trasferiti in un magazzino di Soresina per impedirne il recupero, pagando la merce con assegni bancari e ricevute bancarie risultati inesigibili. Si parla di articoli di rubinetteria, materiale igienico sanitario, materiale ceramico, climatizzatori, una piscina ordinata a Vescovato, vasche da bagno, cucine e mobili.
“Per nove anni i nostri clienti sono rimasti in una sorta di limbo”, hanno detto i difensori, gli avvocati Lino Ciaccio, di Perugia, Angelo Spasari, di Vibo Valentia e Marilena Gigliotti, di Cremona, che hanno sottolineato la carenza di elementi a carico dei loro assistiti. Solo nell’istruttoria dibattimentale c’è stato un effettivo risparmio di tempi e costi, come ha sottolineato l’avvocato Gigliotti. Il collegio, infatti, si è avvalso delle testimonianze online di una quindicina di imprenditori, le presunte vittime, che grazie al collegamento via Skype hanno potuto raccontare i fatti non muovendosi dai rispettivi uffici di Milano, Novara, Reggio Emilia, Firenze, Venezia e Treviso. Quasi tutti, nelle trattative per la vendita della merce, si erano avvalsi di agenti di zona. “Non c’è una ditta che si sia costituita parte civile”, ha sottolineato la difesa. “Nel capo di imputazione, inoltre, non si parla delle condotte specifiche che avrebbero avuto gli imputati. Non ci sono né intercettazioni telefoniche, né informative Agli atti c’è l’avvenuta restituzione della merce, e l’entità del danno non ne tiene conto”. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.
Sara Pizzorni
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