Cronaca

Canile, gli imputati si difendono: Cheti Nin 'Mai effettuato eutanasie'

“Mi accusano di aver soppresso da sola dei cani, ma io peso 48 chili e non ho la forza fisica per sopprimere molossi o cani di grosse dimensioni, al canile non c’erano cuccioli, tutti gli animali venivano sterilizzati e a chi era già in gravidanza, alla fine veniva praticato l’aborto terapeutico”. Un fiume in piena,  Cheti Nin, vice presidente della passata gestione dell’Associazione zoofili cremonesi, accusata di essere una delle responsabili delle presunte uccisioni e dei maltrattamenti di animali che secondo l’accusa, rappresentata dal pm Fabio Saponara, si sarebbero verificati al canile comunale di via Casello. Oggi, ultima udienza del procedimento prima della chiusura delle parti, il collegio presieduto dal giudice Pio Massa con a latere i colleghi Francesco Sora e Andrea Milesi ha ascoltato la voce degli imputati che in aula hanno difeso le proprie ragioni. “Sono sette anni che sto zitta, ora voglio dire tutto e non dimenticare niente”, ha detto Cheti Nin, ex insegnante, sessuologa, sottotenente crocerossina “abilitata ad operare sugli animali” e una vita passata prima come volontaria al canile (dal 1976 al 2004) e poi, dal 2004 in avanti, come responsabile della struttura. “Trattavo io con il Comune”, ha spiegato, “perché il presidente Maurizio Guerrini era in politica e aveva mille impegni”. “Non ho mai effettuato eutanasie”, ha chiarito l’imputata, “di siringhe ne giravano, sì, ma erano tutti antibiotici. Solo la veterinaria Michela Butturini ha effettuato eutanasie, ed era lei ad avere le chiavi dell’armadietto dove erano custoditi i farmaci eutanasici”. E ancora: “al canile non c’era sovraffollamento: c’erano in media 350/380 cani, prima del marzo del 2009 non ci è mai stato contestato il sovraffollamento, dalle ispezioni del Nas del 5 luglio del 2007 e del 5 luglio dell’anno successivo tutto era a posto”. “Il benessere primo era quello dei cani”, ha spiegato la Nin, che ha detto di aver anche contribuito con denaro proprio alla gestione del canile. “Non ho voluto intaccare il patrimonio dell’Associazione”, ha detto, “sono io che ho voluto fare le cose al meglio per rendere più funzionale il canile, spendendo di tasca mia tra i 47.000 e i 52.000 euro. Ho voluto box d’acciaio, comprato pasta di marca e petti di pollo macinati, riso soffiato e pane, ci sono tutte le fatture che lo testimoniano, i prodotti per le pulizie o gli extra li compravo tutti io”. Cheti Nin ha poi puntato il dito contro Rosetta Facciolo, rappresentante della sezione locale della Lega per la difesa del cane, responsabile, a suo dire, di aver “disorientato” i dipendenti e i volontari che lavoravano nella struttura e di averli “fomentati” contro di lei “perché la Facciolo, che è stata al canile quattro mesi nel 2007, voleva arrivare ad avere la gestione del rifugio”. Cheti Nin è anche accusata di aver ucciso Matisse, il cucciolo di labrador preso al canile da Paola Bertani, che a processo è una delle parti civili. L’animale aveva aggredito un altro cane e la proprietaria, il 6 maggio del 2008, lo aveva riportato al canile per essere tenuto sotto osservazione. “Ho pero chiarito”, aveva detto la Bertani durante la sua testimonianza, “che per qualsiasi decisione avrebbero dovuto chiamarci”. Tornata al rifugio quello stesso pomeriggio, però, non aveva più trovato il suo cane. “Cheti Nin ci ha detto che alle nove della sera precedente la Butturini aveva valutato e poi deciso che andava soppresso, anche perché ‘ci guardava male’”. Oggi l’imputata ha respinto anche questa accusa, dicendo che Matisse, “che comunque era un cane pericolosissimo, si era impiccato cercando di evadere dal box nel quale era rinchiuso”.

A difendersi al processo anche l’ex presidente dell’Associazione  Maurizio Guerrini, dimessosi in seguito all’inchiesta e accusato, insieme alla Nin, anche di malversazione ai danni dello Stato e di appropriazione indebita aggravata: i due imputati non avrebbero destinato, in parte, i contributi pubblici ricevuti ogni anno dal Comune per la gestione del canile. Inoltre, abusando della relazione di prestazione d’opera, si sarebbero appropriati delle offerte ricevute dai privati. Sulla questione, Guerrini ha spiegato che il Comune, in forza della convenzione con l’Associazione zoofili, chiedeva una mappatura per verificare la disponibilità economica del canile. “Noi non volevamo che il Comune vedesse che in effetti disponevamo di denaro”, ha detto l’imputato, “perché non ci avrebbe più aiutato economicamente”. Così nel 2004 Guerrini aveva convogliato sul proprio conto corrente 18.000 euro, denaro appartenente all’Associazione. La somma era stata rimessa sul conto corrente del canile solo successivamente, tra il 2006 e il 2008. Per il resto, l’imputato al canile presenziava ben poco. “Dal 1994 al 2004, una volta alla settimana facevo anche il volontario”, ha raccontato, “poi ho assunto tre incarichi in aziende pubbliche e ho ceduto le deleghe. Si occupava di tutto Cheti Nin che aveva anche la delega per le operazioni bancarie. Complessivamente, dal 2004 al 2009, al canile ci sarò andato due, massimo tre volte”. Guerrini ha negato di essere stato a conoscenza di situazioni di sbranamento tra animali, ma ha ammesso il sovraffollamento, “ma solo in certi periodi dell’anno. Nel 2008 c’erano state ispezioni da parte del Nas, ma tutto era risultato a posto”.

Anche la volontaria Elena Caccialanza, titolare di un negozio di toelettatura, ha respinto tutte le accuse. “Ho iniziato a fare volontariato al canile quando avevo 15 anni e per i successivi 20 anni non ho più smesso. Prima mi occupavo della pulizia dei box, degli spazi esterni, di dar da mangiare agli animali, e poi ho avuto il compito di ricevere tutti coloro che chiedevano di adottare un cane e di somministrare farmaci. Dal 2005 al 2009 ero di turno tutta la giornata di domenica e il lunedì mattina”. “Di malumori all’interno del canile ce n’erano”, ha ricordato la Caccialanza, “spesso e volentieri i dipendenti e i volontari si scontravano con la Nin, non era facile andare d’accordo con lei, ma non pensavo ci fosse un malumore tale da essere definiti tutti assassini. Per il canile, Cheti Nin ha sempre preteso standard elevati e magari per qualche dipendente poteva essere un onore in più”. “C’erano siringhe, sì”, ha risposto l’imputata ad una domanda del pm Fabio Saponara, “erano nell’armadio dei farmaci, ma si trattava di antibiotici o di antispastici. Di Tanax o di Pentothal non ce n’era, e comunque tutti i farmaci erano prescritti dai veterinari”. L’imputata ha poi aggiunto di non essersi mai accorta di scomparse repentine di animali”.

L’altra volontaria  a processo, Laura Gaiardi, ha invece deciso di affidare la sua difesa ad una memoria che è stata prodotta e consegnata ai giudici.

Infine il collegio ha ascoltato le dichiarazioni spontanee della veterinaria referente Asl Michela Butturini, alla quale è contestato il solo reato di abuso d’ufficio. Per la procura, l’imputata, “violando le norme di legge relative a compiti di controllo”, avrebbe omesso di “segnalare le gravi irregolarità riscontrate”. “Sono innocente di tutto ciò di cui sono accusata”, si è difesa la veterinaria, “ho visto buttare alle ortiche trent’anni di lavoro per un cumulo di maldicenze”. “Il canile era una specie di discarica perché dall’esterno portavano cani da sopprimere”, ha spiegato l’imputata, “e molto spesso al momento della soppressione non erano identificati, inoltre il canile era in continuo movimento. Si identificavano dei cani, ma nello stesso tempo ne arrivavano sempre di nuovi. Nel canile, inoltre, non c’era un ambulatorio e tutti gli animali con problemi di salute li portavo nel mio ambulatorio”. Come Cheti Nin, anche la Butturini ha mosso accuse nei confronti di Rosetta Facciolo, che, a detta dell’imputata si era presentata nel suo ambulatorio chiedendole aiuto per screditare la Nin e per farle così ottenere la gestione del canile. “Mi disse che se non l’avessi aiutata mi avrebbe coinvolta nello scandalo”, ha ricordato la Butturini. “Ho sempre lavorato in tutta coscienza”, ha detto, “e non accetto di essere stata trascinata qui con queste accuse infamanti”.

Per le conclusioni delle parti, i giudici hanno fissato tre nuove date: il 13 e il 20 gennaio e il 17 febbraio.

Sara Pizzorni

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