Cronaca

Non riconobbero l'infarto all'ambientalista Chiarini Condannati due medici

Umberto Chiarini

Erano a processo con l’accusa di omicidio colposo, e oggi il giudice Pierpaolo Beluzzi li ha condannati per non aver riconosciuto l’infarto ad Umberto Chiarini, 66 anni, noto ambientalista, stroncato da un malore il 16 giugno del 2011. Il medico del pronto soccorso dell’ospedale Oglio Po di Casalmaggiore Mimo Mantovani, difeso dall’avvocato Gian Pietro Gennari, è stato condannato a sei mesi, pena sospesa, mentre il cardiologo Mario Luigi Parrinello, assistito dall’avvocato Diego Munafò, a quattro mesi, pena sospesa. Per ciascuno dei due imputati, il pm onorario Silvia Manfredi aveva chiesto la condanna ad un anno e sei mesi di reclusione. Nel procedimento, la famiglia di Umberto Chiarini era parte civile attraverso l’avvocato Paolo Antonini. In merito al risarcimento, il giudice ha disposto una provvisionale di 100.000 euro per Maria Luisa Manfredi, vedova di Chiarini, e 50.000 euro per ciascuno dei loro quattro figli. Il resto sarà da liquidarsi in separato giudizio civile.

Il noto ambientalista casalese, tre giorni prima del decesso, si era presentato al pronto soccorso lamentando un dolore retro sternale. Al termine della visita era uscito dall’ospedale con la diagnosi di “dolore toracico in paziente affetto da gastrite”. Nei giorni successivi erano comparsi dolore toracico e febbre, fino al 16 giugno, quando, dopo una visita presso il proprio medico curante, alla sera era sopraggiunto l’infarto che lo aveva ucciso. Secondo i consulenti della procura, il quadro clinico del 13 giugno “era orientativo di un infarto in atto”. Per gli esperti, “una procedura terapeutica idonea avrebbe potuto, con elevata probabilità, modificare in modo significativo l’evoluzione clinica”.

Il pm onorario, nella sua requisitoria, ha parlato di “un problema di comunicazione tra lo specialista e il pronto soccorso”. “Un fatto grave”, ha ribadito l’accusa, secondo cui Chiarini avrebbe avuto il 90% di possibilità di essere salvato.

Anche secondo i consulenti di parte civile la responsabilità dei due imputati è concorrente, in quanto, vista la presenza del valore della troponina, che è il marcatore dell’alterazione coronarica, il paziente non avrebbe dovuto essere dimesso. Per gli esperti, gli esami del sangue e l’elettrocardiogramma avrebbero dovuto essere ripetuti almeno per sei ore. La parte civile ha parlato di “omissioni e negligenze vistose” da parte dei due medici. “Non si è valutato correttamente l’elettrocardiogramma”, ha sottolineato l’avvocato Antonini. “Se al contrario si fosse riusciti ad individuare il problema, si sarebbe dato avvio ad interventi e terapie adeguate e si sarebbe evitato il decesso”. “Una perdita, quella di Umberto Chiarini”, ha evidenziato ancora la parte civile, “non solo per la famiglia, ma anche per l’intera società, vista la voce importante di competenza, cultura e sensibilità di fronte ai problemi dell’ambiente quale era quello dello stesso Chiarini”.

Dai dati dell’elettrocardiogramma, per i consulenti della difesa Parrinello, non sembravano essere in corso alterazioni cardiache, mentre Mantovani, che aveva a disposizione gli esami della troponina, avrebbe dovuto accorgersi dello sforamento dei valori, e quindi non avrebbe dovuto dimettere il paziente. L’avvocato Munafò ha evidenziato che “Mantovani aveva prescritto gli esami, e intanto aveva mandato il paziente in Cardiologia. Parrinello lo aveva visitato, e poichè gli esami non erano pronti, prima di rimandarlo al pronto soccorso gli aveva detto di non aver visto segni di infarto in atto, aggiungendo di attendere le analisi”. Chiarini era tornato al pronto soccorso alle 13,14. Gli esami degli enzimi, indicanti alterazioni, erano stati refertati alle 13,57. Mantovani aveva mandato a casa Chiarini e aveva avvisato il cardiologo che non aveva visto le analisi. “Comunque l’evento morte”, secondo l’avvocato Munafò, “non è addebitabile alla condotta di Parrinello che aveva ricevuto Chiarini in consulenza da parte del pronto soccorso. Parrinello aveva fatto l’anamnesi valutando l’elettrocardiogramma che non aveva rilevato eventi acuti in atto, ma questo quadro avrebbe dovuto essere completato da altri esami. Proprio nell’attesa dei risultati, Parrinello aveva rimandato il paziente al pronto soccorso”. “Dalle dimissioni al decesso”, ha ricordato il legale, “sono passate 80 ore. Indimostrabile che ci sia stata una continuità fenomenologica. Non è provato il nesso causale”.

Di tutt’altro avviso l’avvocato Gian Pietro Gennari, legale di Mimo Mantovani, secondo il quale il medico del pronto soccorso aveva mandato Chiarini in Cardiologia “proprio perché aveva bisogno del parere di uno specialista. Quando l’elettrocardiogramma non aveva evidenziato eventi in atto, Mantovani aveva dato per scontato che non ci fossero problemi cardiaci, concentrandosi su eventuali problemi di gastrite”.

La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni.

Sara Pizzorni

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