Cronaca

Indagati i renziani d'Emilia Il modello 'rosso' è un ricordo

C’era una volta il modello emiliano: ortodosso, rigoroso, ben oliato,sovietico. Citato urbi ed orbi. Funzionava come le Poste svizzere. Le segreterie controllavano tutto. Le cooperative volavano col vento in poppa. I soldi piovevano come i fiocchi di neve nelle cartoline di Natale. Imperava il mito di Togliatti: per la base del Pci era “Il Migliore”. Anche se di pecche ne aveva collezionato parecchie fin dal 1936 quando, durante la guerra civile spagnola, per conto di Stalin, aveva contribuito alla eliminazione dei rifugiati trotzkisti. Poi venne accusato di tutto, di più, anche di aver lasciato crepare di stenti i prigionieri italiani in Russia (1943), di aver appoggiato Tito nel tentativo di espropriare l’Italia della Venezia Giulia e di Trieste (1945/48), di aver sollecitato l’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss (1956), di aver financo abbandonato il figlio Aldo rimasto rinchiuso in una clinica psichiatrica per trent’anni. Pazienza, Palmiro era e restava il faro, la luce. I nipotini lo adoravano. E adoravano la compagna Nilde detta, ovviamente “La Migliora”. Ma anche “La Badessa”, “La Zarina”. Erano i tempi gloriosi e gaudenti di Pajetta “L’Acido russico” (lo chiamavo così per la sua veemenza e per la sua fedeltà a Mosca), di “Lin Grao” (Pietro Ingrao), del “Gattosardo” (Berlinguer). Poi è iniziata la discesa col “Migliorino”, cioè Achille Occhetto definito da Pansa “Rimorchio” perché negli anni Ottanta stava troppo a ruota di Craxi. E quando lo sorpresero a baciare la moglie Aureliana a beneficio di un periodico divenne “Baci a luci russe” “Addavenì Bacione”. Fine del romanzo.

Poi sono arrivati i nipotini, le prime crepe. E quel Greganti che Sermasi definì “Il Parco delle rimembranze” per le sue reticenze sui finanziamenti Pci/Pds. Oggi siamo alle “spese pazze”. Ai guai grossi. I due aspiranti candidati a governatore dell’Emilia sono accusati di aver sperperato denaro pubblico. Così almeno sostengono i pm. Sono due uomini del Narciso fiorentino: Matteo Richetti e Stefano Bonaccini. Matteo è un bel giovane di Modena, renziano della prima ora, protagonista alla Leopolda, con Renzi anche nelle primarie contro Bersani (quelle perse). Eletto nel Consiglio regionale emiliano ne è stato presidente e poi è entrato in Parlamento. Bonaccini, segretario emiliano del Pd, è meno famoso anche se il “coccolone” di domenica (con relativo ricovero) gli ha portato punti inattesi. La strana coppia punta a raccogliere la poltrona di Vasco Errani, eletto tre volte consecutive, condannato lo scorso 8 luglio ad un anno di reclusione (pena sospesa) per una faccenda complicata (soldi della Regione al fratello). Di qui il capitolo della successione con  le nuove primarie (28 settembre), la corsa dei due, l’intervento a gamba tesa dei pm, il Pd nel caos.  Molti sostengono che non è più il partito di una volta. Persino a Modena – l’unico posto al mondo insieme alla Corea del Nord governato dallo stesso partito dal 1945 – la base mormora e fa gli scongiuri. Nella città dei due sfidanti il mugugno è ormai un tormentone: “Oggi nessuno sa fare politica”. La vicenda gnam-gnam sta scivolando in una lotta fratricida. Quel gran pezzo dell’Emilia è  scappata di mano. Come direbbe Bersani: “Non stiamo qui a rompere le noci a Cip e Ciop”.

Enrico Pirondini

 

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