Cronaca

Rivolta in carcere a Cremona, Sappe: "Nessuna minaccia agli agenti"

Si torna a parlare della situazione del carcere di Cremona, dopo la rivolta di alcuni giorni fa, che ha visto coinvolto un gruppo di detenuti, esasperati dalla mancanza di un educatore in carcere. E’ il sindacato di polizia Sappe a intervenire, chiedendo di non strumentalizzare le vicende accadute, dopo che nei giorni scorsi in molti sono intervenuti a dare la propria versione dei fatti.

“A mio avviso è sbagliato soffiare sulle ceneri delle criticità penitenziarie e fornire una ricostruzione non corrispondente al vero sulla protesta dei detenuti avvenuta a Cremona – dichiara Donato Capece, segretario generale  Sindacato Autonomo di Polizia penitenziaria Sappe – . La protesta del 27 agosto è stata ottimamente gestita e controllata dai poliziotti penitenziari del carcere di Cremona, che con professionalità e grande competenza hanno impedito che si verificassero episodi di violenza. La tensione era alta – la protesta dei detenuti era riferita alla mancanza di colloqui con l’educatore del carcere – ma nessuno aveva il volto coperto, nessuno aveva pezzi di vetro tra le mani a minacciare gli agenti. Solamente tre detenuti si sono resi responsabili di danneggiamento ad altrettante finestre del corridoio della sezione ed alle cassette in metallo degli strumenti anti-incendio. Ma, ripeto, sono stati bravi i poliziotti penitenziari di servizio a non reagire alle provocazioni e far cessare la protesta con professionalità, capacità e competenza. Ciò detto, il carcere, chi vi lavora e anche chi vi è detenuto, fanno parte del territorio e meritano maggiore attenzione e sensibilità dalle Istituzioni locali. Ma non è fornendo ricostruzioni allarmistiche e non rispondenti al vero che si rende un buon servizio”.

Non che la situazione cremonese non sia grave, secondo il sindacato. “Questo determina difficili, pericolose e stressanti condizioni di lavoro per gli Agenti di Polizia Penitenziaria”, prosegue il sindacalista. “E sebbene l’Italia risulti di fatto inadempiente rispetto alla sentenza Torreggiani della Corte europea per i diritti dell’uomo, il rinvio al giugno 2015 per un’ulteriore valutazione sull’attuazione delle misure decise dal governo per affrontare il problema del sovraffollamento segna il fallimento delle politiche penitenziarie adottate dal Dap, Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Perché se il numero dei detenuti è calato, questo è la conseguenza del varo – da parte del Parlamento – di 4 leggi svuota carcere in poco tempo. Ma il Dap non ha migliorato le condizioni di vivibilità nelle celle, perché ad esempio il numero dei detenuti che lavorano è irrisorio rispetto ai presenti. Occorre dunque rivedere il sistema dell’esecuzione penale il prima possibile, altro che vigilanza dinamica nelle galere. E allora serve una nuova guida all’Amministrazione Penitenziaria, capace di introdurre vere riforme all’interno del sistema a partire dal rendere obbligatorio il lavoro in carcere”.

Capece torna a sottolineare le criticità delle carceri italiane: “Nei 206 penitenziari del Paese il sovraffollamento resta significativamente alto rispetto ai posti letto reali, quelli davvero disponibili, non quelli che teoricamente si potrebbero rendere disponibili. Un problema è la mancanza di lavoro, che fa stare nell’apatia i detenuti. Ma va evidenziato anche che l’organico di Polizia Penitenziaria è sotto di 7mila unità, che non è pensabile chiudere strutture importanti di raccordo tra carcere, istituzioni e territorio come i Provveditorati Regionali dell’Amministrazione Penitenziaria a meno che non si voglia paralizzare il sistema, che il carcere non può continuare con l’esclusiva concezione custodiale che lo ha caratterizzato fino ad oggi.  E fatelo dire a noi che stiamo tra i detenuti, in prima linea, 24 ore al giorno”.

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