Cronaca

Vendita sfumata di palazzo Fodri, respinta richiesta maxi risarcimento

L'avvocato Paolo Brambilla

Respinta dal giudice Alessandra Medea Marucchi la richiesta del maxi risarcimento di 4.181.080 euro avanzato nella causa civile dalla società cremonese I.I.C., Iniziative Immobiliari srl guidata dagli imprenditori Lameri, alla Fondi Immobiliari Italiani, Fimit, per la sfumata vendita di palazzo Fodri. Per il giudice, che ha condannato la I.I.C. a pagare 20.587 euro per le spese sostenute da Fimit (società romana che cura la gestione del Fondo Omega Immobiliare, il cui portafoglio immobili comprende anche palazzo Fodri), non è stata provata la responsabilità precontrattuale, né “si evince dalla documentazione prodotta una condotta assunta da Fimit contraria alla buona fede”.

Tutto ruota attorno all’incontro avvenuto il 2 aprile del 2010 presso gli uffici del mediatore. In quel periodo I.I.C. aveva effettuato sette accessi all’immobile e aveva trattato sul prezzo e sulle ulteriori condizioni. Nella motivazione il giudice osserva che “dalle email intercorse tra il ragionier Pedroni per I.I.C. e il signor Nolli per Fimit si evince che il primo fosse del tutto consapevole del fatto che le proposte avanzate da I.I.C. dovessero essere sottoposte da Nolli, incaricato di seguire la vendita, al vaglio del cda di Fimit al fine di ottenere ‘favorevole delibera’”. Per il giudice, dunque, “non vi è inequivocabile prova in giudizio del fatto che Nolli, nell’incontro del 2 aprile, assicurò ad I.I.C. che l’affare poteva ritenersi concluso, e quindi non vi è prova che assicurò di aver già acquisito il relativo parere del cda in ordine a tutti i punti controversi”. “In altre parole”, scrive il giudice, “ciò che qualifica l’azione di Fimit è infatti quello che avvenne nel corso dell’incontro di aprile, rispetto al quale non vi sono certezze processuali”. “In definitiva”, come si legge nella motivazione, “dalla documentazione prodotta non si evince una condotta assunta da Fimit contraria alla buona fede: non si dubita che le parti addivennero effettivamente alla definizione del contenuto di una proposta di I.I.C. sottoponibile al cda di Fimit, nei limiti e secondo le indicazioni che in quella fase Fimit poteva fornire, ma ciò non significa che sia emersa prova in giudizio del fatto che la società romana assicurò di aver già acquisito il parere conforme del cda anche in ordine alle modalità di pagamento ed in ordine alla condizione imposta dall’acquirente per l’acquisto e che sia quindi stata raggiunta sufficiente prova del fatto che con tale comportamento, Fimit ingenerò un affidamento legittimo in I.I.C. circa la conclusione dell’affare alle condizioni proposte e definite in quella sede”.

Per il giudice, “tutta la vicenda deve leggersi nel contesto in cui si è sviluppata, vale a dire tra soggetti qualificati e professionalmente usi alla gestione di affari di mediazione e acquisti immobiliari di valore decisamente importante, nonchè, nel caso specifico, coinvolti nella gestione di una compravendita di grandissimo valore. Tutte circostanze che impongono di valutare anche la diligenza della parte acquirente con particolare rigore ai fini della valutazione della legittimità dell’affidamento allegato, non potendosi ritenere che I.I.C. non avesse piena consapevolezza delle modalità di gestione delle trattative da parte del Fondo e quindi la necessaria delibera positiva del cda su ogni aspetto dell’accordo e non solo sul prezzo, punto di partenza e non conclusivo per la discussione di ogni altro profilo”.

Soddisfatto l’avvocato Paolo Brambilla, che nella causa, insieme alla collega Giovanna Adinolfi, rappresentava lo studio legale di Roma per Fimit. “Una vicenda, questa”, ha commentato il legale, “che fin dall’inizio non ritenevamo che potesse che concludersi in questo modo. La condotta di Fimit è sempre stata improntata alla correttezza e alla buona fede, come poi il tribunale di Cremona ha stabilito”.

Da parte sua, invece, la I.I.C. aveva dichiarato di aver intrapreso con la Fimit delle “trattative finalizzate al perfezionamento della compravendita del complesso immobiliare di corso Matteotti e che tali trattative non sono sfociate nella stipula di un contratto preliminare a causa di un comportamento assunto da Fimit in stretta aderenza ai principi di scorrettezza e malafede”. La società romana, in sostanza, avrebbe fatto sorgere e consolidato nella I.I.C. “la certezza e l’affidamento nel buon esito dell’affare senza dare alcun seguito agli impegni che essa avrebbe progressivamente assunto”. Per Fimit, che si era costituita in giudizio, “le accuse sono sempre state infondate in fatto e in diritto. Le trattative sono state condotte secondo buona fede, ma l’accordo non si è perfezionato perché I.I.C. intendeva subordinare il trasferimento della proprietà dell’immobile alla condizione del rilascio, da parte dell’autorità competente, del permesso di costruire parcheggi interrati, condizione ritenuta non accettabile da parte degli organi di Fimit”. Palazzo Fodri sarà poi venduto per 8 milioni di euro alla Fondazione Città di Cremona.

Sara Pizzorni

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