'Io, maestra con l'età di una nonna': storiadi un'insegnante
Anna Beghi, classe 1952, fa parte dei 4000 insegnanti che da due anni credono di poter andare in pensione, ma sono bloccati dal pasticcio della ‘quota 96’. Responsabile di plesso della scuola primaria di Malagnino, il suo è un caso emblematico del naufragio della pubblica amministrazione quando si tratta di riforma delle pensioni. Di ora in ora lo scenario cambia, e con esso l’organizzazione della propria vita. Qualche giorno fa, l’annuncio del Governo che i 4000 insegnanti della cosiddetta ‘quota 96′ (60 anni di età e 36 di contributi; o 61 e 35) sarebbero potuti andare in pensione. Neanche il tempo di brindare ed ecco la doccia fredda: la Ragioneria dello stato boccia i conti del ministero dell’Istruzione, quei 4000 devono restare. Il 12 agosto, riapre le porte alla speranza la ministra Marianna Madia, la quale ha spiegato che Renzi si riserva di «valutare la questione nella cornice del pacchetto scuola che sarà varato questo mese». Di conseguenza i quattromila insegnanti, se dovesse essere approvato il decreto di riforma scuola del ministro all’Istruzione Stefania Giannini, andrebbero in pensione già da settembre 2014. Ma l’ipotesi è irrealistica, gli stessi uffici non hanno più tempo ormai per gestire pensionamenti e nuove immissioni in ruolo o supplenze.
La maestra Anna Beghi, doppia laurea, in Pedagogia e in Psicologia, è stanca di questo andirivieni. Accetta di raccontare la sua storia perché ama la scuola e crede nel valore della scuola pubblica come vera palestra di educazione e convivenza; per questo le fa male vederla trattata così, da Ministri che non conoscendo la scuola pretendono di farla funzionare. Tra l’altro, l’idea di poter andare in pensione da settembre, meno di un mese, con i suoi scolari di terza che senza preavviso si troverebbero davanti un’insegnante nuova, non le piace per niente.
“Mi sono diplomata alle magistrali e poi, nel 1976, ho preso la laurea in Pedagogia a Milano”, racconta. “Mi sono subito inserita nel mondo della scuola con supplenze varie, sia alle medie che alle superiori, in materie letterarie. Nel frattempo mi sono laureata in Psicologia, ho fatto formazione psicoterapeutica e ho iniziato a collaborare con le Asl. In questo modo ho cominciato a conoscere il mondo della scuola a 360 gradi: come docente in maniera diretta, ma anche indirettamente dal punto di vista dei genitori e delle famiglie, attraverso le consulenze psicologiche e le problematiche dei bambini in difficoltà. Nel 1982 esce il concorso per insegnanti, lo passo, ma non entro subito in ruolo per mancanza di posti. Dopo alcune traversie burocratiche legate al sovrapporsi di leggi e leggine, entro il ruolo nel 1986 e successivamente ottengo la retrodatazione dell’assunzione al 1982. A questo punto mi si pone la scelta dell’ordine di scuola e non ho dubbi a scegliere quelle che allora si chiamavano elementari, oggi primarie. E’ la fascia di età che mi appassiona di più e sulla quale ho approfondito la mia formazione, tra l’altro applicando i principi dell’Infant Observation”, che studia le fasi evolutive della crescita dei bambini osservandoli fin dai primi mesi di vita.
E così Anna entra a pieno titolo nell’organico del Ministero dell’istruzione, gira diverse scuole della provincia, come Cingia e Crotta d’Adda, fino ad approdare a Malagnino, dove la scuola primaria è un vanto del comune, una delle poche ad essere oggetto di investimenti milionari in anni recenti.
“A me piace lavorare, ma vorrei che qualche volta ci fosse il riconoscimento di quello che uno ha dato alla scuola, mettendo a disposizione conoscenze acquisite personalmente negli anni. Lo facciamo in tanti, la scuola si regge sul volontariato di molti. E invece da oltre due anni sto cercando di capire quando e con che importo potrò andare in pensione. Io sarei dovuta ritirarmi a settembre 2011, ma proprio in quell’anno è scattata la trappola della riforma Fornero: una persona proveniente dall’ambiente universitario dovrebbe sapere che l’anno scolastico non coincide con l’anno solare. Mi sono vista scivolare la pensione da 60 a 67 anni. Da lì è cominciato il mio pellegrinaggio. All’ufficio scolastico c’è una sola persona che sa fare il conteggio e che sto rincorrendo. Ma ha tanti casi e privilegia chi ha già maturato il diritto. Mi sono rivolta ad amici e al patronato Acli, ma anche lì hanno molti casi da seguire. La mia vita è diventata un’altalena”.
“Quando qualche giorno fa – continua Anna – era uscita la notizia dello sblocco dei pensionamenti, alcuni conoscenti mi hanno telefonato dicendomi ‘sei la donna più felice del mondo’. Io ho risposto ‘Andiamoci piano’, perchè di annunci del genere ne ho già visti almeno 4 o 5. Stavolta però la fiducia c’era davvero, con tanto di annuncio del ministro e paginoni sui giornali. Ho cominciato ad insospettirmi quando si è cominciato a parlare di pensionamenti già da settembre. Ma come, mi sono detta, è troppo presto. E dove va a finire la relazione tra insegnanti, bambini e genitori? La separazione è un momento importante della relazione, va preparato. E difatti, qualche giorno dopo è venuto l’annuncio contrario”. Anna aveva altre aspettative per il dopo – lavoro: riposare, fare qualche cura (“perchè i malanni fisici cominciano a farsi sentire”); restare nel mondo della scuola e magari scrivere un libro, da pedagogista – psicologa, per offrire qualche strumento operativo ai suoi colleghi più giovani alle prese con un ambiente lavorativo sempre più complicato. “Mi piacerebbe poter riflettere su questa mia esperienza – afferma – su questo pezzo della nostra storia educativa, sia dal punto di vista pedagogico che psicologico. Perché mi rendo conto che i due versanti si conoscono poco”.
“Sento di poter dare ancora qualcosa alla scuola. Arrivo a dire: tenetemi perché ho un’esperienza, ma mettetemi nelle condizioni di lavorare perché non posso più reggere l’impegno di classi fino a 30 bambini e rapporti con i genitori sempre più complessi. Ci vuole forza, energia, creatività per fare questo lavoro, mentre io adesso sono nell’età di fare la nonna. Non volete mandarmi in pensione? Io le forze per reggere una prima, anche fisiche, non le ho più. Fino adesso ho sempre dato, con piacere beninteso: è bello, significativo e logorante. E poi ci sono tanti giovani, che sono bravi e preparati e che vogliono fare questo lavoro. La scuola ha bisogno di loro”.
La conclusione è un’amara constatazione su come è cambiata la scuola, sul venir meno del riconoscimento una volta attribuito agli insegnanti, sia dal punto di vista economico che sociale, sul fatto che le famiglie vedano gli insegnanti spesso come ‘nemici’. Soprattutto negli ultimi dieci anni, con una vera e propria rivoluzione nell’atteggiamento delle famiglie: sempre più figli unici, con un carico di aspettative enormi risposte su di loro dai genitori. La scuola primaria rappresenta per loro il primo vero incontro-scontro con la realtà e i limiti dei propri figli e molti genitori non sono in grado di accettarlo.
“In questi ultimi anni, mi sono detta più volte: ‘Diamo quello che possiamo e resistiamo, perchè io credo nella scuola pubblica, l’unica che fa vera eguaglianza e costruisce il senso della convivenza. Però intanto invecchio e sono arrivata a 38 anni e 8 mesi di servizio, senza sapere che ne sarà di me nei prossimi mesi”.
Giuliana Biagi
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