Processo Tamoil, quattro dirigenti condannati per disastro ambientale
Nella foto gli avvocati di parte civile: da sinistra, Cannavò, Beretta, Romanelli, Gennari, Tampelli, Castelli e Lattari
Dopo sette anni di indagini e 40 udienze, perizie e controperizie, analisi, campionamenti e sopralluoghi, oggi pomeriggio il giudice per l’udienza preliminare Guido Salvini ha emesso quattro sentenze di condanna e una di assoluzione per il processo ‘madre’ che riguarda la raffineria cremonese Tamoil, processo celebrato con il rito abbreviato. Due gli imputati condannati con l’accusa di disastro ambientale doloso, altri due per disastro ambientale colposo.
Le pene più pesanti, per disastro ambientale doloso, sono state inflitte ai dirigenti Enrico Gilberti e Giuliano Guerrino Billi, entrambi di Cremona, i manager già presenti al momento dell’autodenuncia nel marzo del 2001 e con ruolo più operativo. Sei anni per Gilberti, più sei mesi di arresto e 9mila euro di ammenda. Tre anni per Billi.
A un anno e otto mesi, più quattro mesi di arresto e 6mila euro di ammenda ciascuno, sono stati invece condannati, per disastro ambientale colposo, il libico Mohamed Saleh Abulaiha e Pierluigi Colombo, quest’ultimo di Abbiategrasso. Per loro, la concessione della sospensione condizionale della pena è stata subordinata ai sensi dell’art. 257 del Codice ambientale alla condizione del completamento del ripristino ambientale del territorio interessato.
Il quinto imputato, il francese Ness Yammine, è stato assolto per non aver commesso il fatto perché era giunto solo nel 2007 da una sede all’estero e non conosceva la situazione precedente del sito Tamoil di Cremona.
Il giudice ha disposto il risarcimento in favore dei soci delle società canottieri Bissolati e Flora (complessivamente una trentina), di Legambiente e del Dopolavoro ferroviario, da quantificarsi in un separato processo civile ma per tutti è stata riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva. Provvisionale da 10mila euro per i singoli soci delle canottieri (8mila per i nuclei familiari), 40mila euro per Legambiente e 50mila euro per il Dopolavoro ferroviario.
Nel procedimento, né il Comune di Cremona, né il Ministero per l’Ambiente si erano costituiti parte civile. Ma un cittadino di Cremona, Gino Ruggeri, responsabile dell’associazione radicale Piergiorgio Welby, utilizzando l’articolo 9 del Testo unico sugli Enti locali, si era autonomamente costituito parte civile al posto del Comune e il risarcimento di un milione di euro a titolo di provvisionale riconosciuto in suo favore sarà convogliato in favore del Comune che egli ha rappresentato. A questo proposito è arrivata la dichiarazione del sindaco Gianluca Galimberti: “Prendo atto della sentenza e ringrazio il signor Gino Ruggeri che si è costituito parte civile nell’interesse della città. Come avevo detto pubblicamente a suo tempo, sarebbe stato opportuno che il Comune di Cremona si fosse costituito parte civile. Concluso il processo penale, sono disponibile ad incontrare il signor Gino Ruggeri”.
Il gup Salvini ha poi disposto come pene accessorie la pubblicazione del dispositivo della sentenza per estratto a spese dei condannati per 30 giorni sul sito Internet del Ministero di Giustizia, nonché l’interdizione di Gilberti e Billi dagli uffici direttivi di persone giuridiche ed imprese, il primo per la durata di otto anni, il secondo per cinque. Il gup ha infine disposto la trasmissione di copia degli atti alla procura della Repubblica per le sue iniziative in ordine all’esercizio dell’azione nei confronti della Tamoil come persona giuridica responsabile dei reati di natura ambientale, azione che sinora non è stata esercitata.
Disastro doloso, dunque, e non avvelenamento delle acque, come aveva sostenuto il pm Fabio Saponara, un reato che al gup Salvini è parso poco adeguato, tanto che ha deciso di riqualificarlo in quello di disastro doloso. L’articolo 434 del codice penale punisce disastri come crolli e inondazioni e anche in genere gli “altri disastri” e tra questi ultimi deve rientrare quello ambientale. Si tratta di una delle prime sentenze che riconosce il disastro ambientale tra le situazioni punite da tale articolo.
Anche l’altro reato contestato, il pericolo di disastro per esplosione, è stato fatto rientrare nel disastro ambientale. Riguardava quanto avvenuto nel maggio-giugno 2008, quando, in seguito ad una piena del fiume Po, i gas idrocarburici presenti nel terreno erano stati spinti verso l’alto penetrando in alcuni locali della Bissolati con il pericolo che si verificasse, anche per un banale innesco, un’esplosione.
Soddisfatto il pm Fabio Saponara: “Una sentenza che rende giustizia alla città”. Il pm ha voluto ringraziare il Nas di Cremona, in particolare i marescialli Luca Rizzello e Gianpaolo Perrone “per l’enorme impegno profuso e le enormi capacità dimostrate in questi anni in cui procura e Nas hanno lavorato insieme per questo processo”.
Le parti civili erano rappresentate dagli avvocati Gian Pietro Gennari, Marcello Lattari, Annalisa Beretta, Vito Castelli, Claudio Tampelli, Sergio Cannavò e Alessio Romanelli.
Gli imputati Enrico Gilberti, Giuliano Guerrino Billi e Pierluigi Colombo erano difesi dall’avvocato Carlo Melzi d’Eril (con il collega Riccardo Villata nella difesa di Gilberti), Mohamed Saleh Abulaiha dall’avvocato Simone Lonati, Ness Yammine dai legali Giacomo Lunghini e Alessandro Della Chà.
Sulla sentenza è intervenuto con un comunicato l’ufficio stampa della raffineria cremonese che “prende atto con grande rammarico e sorpresa della sentenza emessa oggi pomeriggio dal giudice per l’udienza preliminare dottor Guido Salvini e ribadisce la piena fiducia nei propri manager, certa che abbiano operato nel rispetto delle norme.
Tamoil e’ convinta che in appello i propri manager verranno assolti”.
LA VICENDA
Nel marzo del 2001 la Tamoil aveva presentato un’autodenuncia come sito inquinato, avvalendosi della normativa che consentiva la non punibilità per gli inquinamenti precedenti, ma che tuttavia comportava l’obbligo di informare in modo completo Comune, Regione e Arpa della reale situazione di inquinamento da idrocarburi e comportava di attivarsi in modo idoneo con tali enti per ripulire le falde dei terreni. L’inquinamento aveva investito non solo la zona del sito industriale , ma i terreni esterni vicino all’argine del Po in cui si trovano le canottieri. Nel corso delle indagini è emerso che la società aveva informato in modo incompleto gli enti, sostenendo che si trattava di “inquinamento storico”, ad essa non imputabile, risalente ai primi anni ‘50 e comunque precedente al 1983 quando, secondo la difesa, la Tamoil aveva cominciato a gestire i siti industriali. Ma nel corso del giudizio abbreviato, anche dalla perizia disposta dal giudice, è emerso che l’inquinamento non poteva essere così antico in quanto c’era una forte presenza di Mtbe, l’additivo usato per la benzina cosiddetta verde solo dalla prima metà degli anni ’80. Inoltre la Tamoil non poteva considerarsi responsabile solo per inquinamenti avvenuti a partire dal 1983 in poi (quando aveva assunto questa denominazione), ma anche per quelli iniziati sin dal 1960, in quanto la società precedente, l’Amoco, aveva con Tamoil una piena continuità aziendale, essendo avvenuto nel 1983 un semplice cambio di denominazione senza variazione alcuna della compagine societaria che aveva continuato ad operare sullo stesso sito industriale.
Tamoil, così come sosteneva l’accusa, non ha messo gli enti preposti, Comune, Regione ed Arpa, nelle condizioni di avviare una bonifica appropriata, non avendo fornito un quadro completo della gravità dell’inquinamento ed avendo continuato ad operare anche tra il 2001 e il 2007, e cioè anche dopo l’ “autodenuncia”, in condizioni tali da far conseguire lo sversamento di idrocarburi nel terreno e nella falda che correva sotto i circoli creativi posti sul Po. Infatti, a partire dal 2007, momento in cui dopo gravi ritardi l’opera di ripristino ha potuto iniziare, sono stati estratti dal terreno e dalla falda acquifera, tramite pompe e barriere idrauliche, enormi quantità di idrocarburi contenenti tra l’altro anche benzene molto pericoloso per la salute pubblica.
Dalla fine del 2008 al 2011 sono stati recuperati 1800 metri cubi di prodotto surnatante, e cioè di idrocarburi che galleggiavano sulla falda acquifera, e tale recupero non è ancora terminato. Inoltre i terreni della raffineria e a valle della stessa sono ancora intrisi di idrocarburi.
Soprattutto, nel corso del giudizio abbreviato è stato scoperto che lo sversamento di idrocarburi è continuato anche dopo il 2001 , data della “autodenuncia” , a causa delle pessime condizioni della rete fognaria della raffineria. Il pm Saponara, infatti , nell’autunno del 2013 aveva acquisito presso due ditte esterne che avevano lavorato per la Tamoil, la Soncini e la Idroambiente, le copie della documentazione relativa ai lavori svolti per la manutenzione della rete fognaria effettuati anche tramite video- ispezioni dei tubi, solo a partire dalla fine del 2004 e nel corso del giudizio abbreviato sono stati sentiti sul punto anche tecnici e operai della Tamoil. Si è così potuto accertare che la rete fognaria, molto vecchia e piena di buchi e di cedimenti, perdeva molta acqua sporca di idrocarburi che finiva nel terreno. Nel 2001 questa situazione non era stata riferita da Tamoil agli enti preposti e solo alla fine del 2004 era iniziata una parziale opera di ripristino delle fogne che è proseguita sino al 2010. Questa attività, così come sostenuto dal pm e dalle parti civili, è stata svolta dalla Tamoil in ritardo e di nascosto, senza comunicarla al Comune e alla Regione. e comunque a causa delle condizioni delle fogne ancora per molti anni dopo il 2001 lo sversamento di idrocarburi nel terreno e nella falda è continuato.
Sara Pizzorni
© RIPRODUZIONE RISERVATA