Caso Apic, Feroldi condannato a 3 anni e 6 mesi per peculato Il pm: "Di fatto era lui il tesoriere"
Nella foto, Franco Feroldi e il suo avvocato Massimiliano Cortellazzi
Caso Apic, Franco Feroldi è stato condannato per peculato dal collegio dei giudici composto dal presidente Maria Stella Leone e dai colleghi a latere Francesco Sora e Cristina Pavarani. Tre anni e sei mesi per l’ex coordinatore e dirigente del settore cultura Apic, ex braccio culturale dell’amministrazione provinciale travolto da un debito accertato di tre milioni di euro verso fornitori e creditori, e di altri tre milioni di crediti inesigibili, cioè andati persi e finiti nel passivo. Il pm Laura Patelli, al termine della sua requisitoria, ha chiesto una condanna a tre anni, meno di quanto inflitto dai giudici.
Feroldi, difeso dall’avvocato Massimiliano Cortellazzi, è stato giudicato colpevole e condannato a risarcire il danno con 10mila euro di provvisionale (il resto da liquidarsi in separato giudizio). I giudici hanno disposto la trasmissione della sentenza alla procura generale della Corte dei conti. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni. “Aspettiamo di leggere la motivazione e poi valuteremo il ricorso in appello”, ha commentato l’avvocato difensore Massimiliano Cortellazzi. “Essere innocenti non basta”, ha detto l’imputato con amarezza prima di lasciare palazzo di giustizia. “Agiremo in sede civile per il recupero dei danni”, ha invece fatto sapere l’avvocato Isabella Cantalupo, parte civile per Apic, che ha cessato la sua attività nel 2009 e che ora è in liquidazione giudiziale. Per il buco nei bilanci dell’Apic, nell’aprile del 2012 il giudice Clementina Forleo aveva già archiviato le posizioni dell’ex presidente Giuseppe Torchio e dell’ex segretario dell’ente Renato Crotti.
La procura accusava Feroldi di essersi intascato, tra il 2005 e il 2007, 168.334 euro, denaro ricavato dal 50 per cento dei biglietti relativi al museo civico e alla sala dei violini in base ad una convenzione secondo la quale metà dell’incasso andava all’Apic e l’altra metà al Comune.”L’associazione”, ha detto il pm Patelli nella sua requisitoria, “era materialmente gestita da Feroldi. Era lui, di fatto, a svolgere le funzioni di tesoriere”. Per il pm, la prima somma di 159.635 euro della vendita dei biglietti riferita al 2005 e al 2006 “è sparita. Non è stata versata nè nei conti correnti Apic, nè contabilizzata”. Secondo l’accusa, il ragionier Stefano Sentati, il tesoriere, “teneva la contabilità in base a quanto gli veniva comunicato da Feroldi”. Per la Patelli, “altro non si può dedurre che la somma sia stata presa da Feroldi”. Poi c’è il capitolo relativo alla somma del 2007: 61.495 euro, di cui 52.796 euro restituiti e 8.699 mancanti per la quota da destinare al Comune. Per il pm, sulla gestione dell’Apic da parte dell’imputato, “era lui il tesoriere di fatto: faceva ordini, creava bonifici e da questa confusione è emersa la difficoltà di ricostruire tutte le somme”.
“Inequivoco”, anche per l’avvocato Cantalupo, “il ruolo di fatto esercitato da Feroldi: aveva ogni potere di gestione del denaro di Apic. L’imputato era un incaricato di pubblico servizio in un’associazione con natura pubblicistica. Lui aveva la piena disponibilità di quei denari”. Il legale di parte civile ha anche sottolineato il fatto che Feroldi “non ha effettuato domanda di ammissione al passivo della liquidazione”.
Da parte sua, la difesa ha ribadito che “Feroldi ha sempre agito su impulso dei suoi superiori. Non c’è stato alcun utilizzo di denaro se non per scopi istituzionali”. “L’Apic”, ha detto l’avvocato Cortellazzi, “doveva essere una macchina da guerra con la missione di portare Cremona nel mondo. Ma una portaerei come l’Apic richiede una catena di comando ben assortita. C’era un presidente con un ruolo di assoluta centralità”. Dunque, per il legale, “la figura di Feroldi va ridimensionata a quella dello scrivano tuttofare di Dickens. Feroldi era un mero esecutore degli ordini, il suo ruolo era meramente operativo. Il suo lavoro prima è stato sfruttato, e poi utilizzato come parafulmine. Feroldi non si è appropriato di nulla, non esiste prova che sul suo conto siano arrivati quei soldi”. Se Feroldi ha fatto degli errori? “Può darsi”, secondo l’avvocato, “ma non è stato capace di dire di no a chi pretendeva il suo impegno. Con l’esposto dell’ex presidente della Provincia Giuseppe Torchio si è voluto gettare fumo negli occhi della gente, facendo credere che Feroldi fosse l’Apic e l’Apic fosse Feroldi. E’ stato vittima dell’arroganza di chi ha voluto salvare se stesso”.
LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DELL’IMPUTATO PRIMA DELLA LETTURA DELLA SENTENZA
“Sono stato dipendente per 37 anni della Provincia di Cremona con totale dedizione al lavoro e vera abnegazione”, ha detto Feroldi nelle sue dichiarazioni spontanee. “Ho regalato alla Provincia montagne di ore straordinarie non pagate (la mia giornata lavorativa spesso superava le dieci ore per sette giorni alla settimana). Alle esigenze della vita personale ho sempre anteposto il lavoro per compiere al meglio il mio dovere e per far sempre ben figurare l’Apic. Ho dato il massimo delle mie capacità e tutte le mie risorse economiche per cercare, inutilmente, di tamponare una situazione di crisi che negli ultimi anni era diventata ingestibile”.
L’imputato ha anche fatto riferimento ad una “forte pressione psicologica” a cui si è sentito sottoposto: “Nella mia veste di dirigente del settore cultura della Provincia, ente diverso da Apic, ero titolare di un incarico fiduciario che l’allora presidente della Provincia Giuseppe Torchio, di fronte ad un mio rifiuto di attuare le sue direttive, avrebbe potuto revocarmi in qualsiasi momento. Fortissimo e angosciante era il timore che la difficilissima situazione finanziaria dell’Apic e le continue minacce avanzate dai numerosi creditori finissero agli organi di informazione e quindi diventassero di dominio pubblico, con forte discredito e conseguente chiusura dell’attività”.
“In un periodo di vera emergenza”, ha continuato Feroldi, “per salvare la credibilità e il buon nome di Apic a livello internazionale e per non perdere l’incarico fiduciario di dirigente, ho ritenuto di far fronte anche con le mie risorse personali al pagamento totale o per acconti di alcuni fornitori, al pagamento di interessi legali per conto di Apic e al parziale rimborso alla Commissione europea (per una somma di 40.000 euro in due tranche) di un contributo revocato ad Apic per l’attuazione di una mostra e iniziative correlate su più sedi entro il termine perentorio fissato dal contratto stipulato con la stessa Commissione”.
“Nei pagamenti”, ha sottolineato l’imputato, “rientrano anche le spese per l’utilizzo di taxi per trasferimenti vari richiesti nel periodo 2005-2009”.
“Addirittura”, ha continuato, “per fronteggiare i problemi di liquidità di Apic al fine di reperire le risorse necessarie per i numerosi pagamenti da me effettuati per Apic, ho acceso prestiti personali, utilizzato il mio stipendio e le tredicesime, ottenuto prestiti da società finanziarie private, utilizzato le risorse della mia convivente per quasi 40.000 euro, fatto ricorso a prestiti da conoscenti, buona parte dei quali ad oggi non sono stato ancora in grado di restituire (fra questi, i due prestiti di 10.000 e di 2.500 euro che la dottoressa Manotti – Danila Manotti, impiegata Apic, ndr – ha messo a disposizione per contribuire a tamponare i debiti Apic) e venduto per 30.000 euro l’unica mia proprietà: una porzione di casa ad Ostiano donatami nel 1983 da mia nonna paterna”.
“Forse, col senno di poi”, ha concluso Feroldi con voce rotta dalla commozione, “avrei dovuto pensare più a me, alla mia famiglia, alle persone care che mi hanno sempre stimato e che ancora oggi mi stimano, pur in questa mia dolorosa condizione di imputato”.
Sara Pizzorni
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