Cremo, Montorfano: 'Qui è casa mia' Al suo fianco Perovic e Turci
Foto Sessa
Si presenta in giacca e camicia. Lui, uomo di campo, per l’occasione ha messo da parte la tuta. Mario Montorfano allenatore della prima squadra, una notizia che ieri sera ha fatto impazzire il web, con centinaia di commenti sui vari social network, in seguito all’annuncio ufficiale del club. Oggi era il grande giorno, quello della conferenza di presentazione.
Parte deciso il mister, determinato, così come quando marcava a uomo l’avversario, come quando disse a Rispoli mentre lo cacciava: “Io, un giorno, tornerò”. Ben presto, però, la voce s’interrompe, le lacrime iniziano a scendere dagli occhi, le emozioni lo travolgono, quando ricorda il mitico Erminio Favalli, che gli diceva: “Quando resti per tanti anni nella stessa società, o sei un ruffiano o sei una brava persona. Tu, Mario, sei una brava persona”.
La Cremonese, “casa mia”, così la chiama Montorfano, perché per lui il grigiorosso è una seconda pelle, dopo 33 anni trascorsi tra campo e panchina, soprattutto nel settore giovanile, ma senza dimenticare le esperienze del 2001-2002 e del 2011, due imprese, una salvezza in C2 in un anno a dir poco travagliato e un’altra subentrando a poche giornate dalla fine nella stagione macchiata dal calcioscommesse.
Ora è il momento della terza chiamata, quella più importante di tutte, “il massimo a livello professionale”, per usare le parole del diretto interessato. Al suo fianco ci saranno altri due grandi ex: Marko Perovic come vice e (sorpresa nella sorpresa) Gigi Turci, cremonese doc e numero uno della Cremo dei tempi d’oro, come preparatore dei portieri.
L’ultimo mese gli ha fatto vivere una vera e propria girandola di emozioni: la morte del padre, la final four di campionato e la finale del Dossena con la sua Berretti, ora la grande chiamata. “Come stare sulle montagne russe” insomma, per uno che è abituato, visto che ha allenato a tutti i livelli, dai primi calci alla prima squadra, dalla Cremonese al Montichiari.
Senza mai cambiare, però, affrontando ogni avventura con serietà, dedizione, spirito di sacrificio, schiettezza e trasparenza nel rapportarsi con le persone, proprio quelle prerogative che gli hanno permesso di diventare calciatore nonostante i tanti infortuni (compreso il brutto incidente di Napoli, quando rischiò di spaccarsi la testa), le qualità che richiederà, che pretenderà dai suoi giocatori.
Perché se non avesse lavorato nel mondo del calcio avrebbe fatto il maestro (“Lì sarei stato l’Alviero Chiorri della situazione”, ha detto), lui che è un educatore nato e per firmare il contratto ha avanzato una sola richiesta: poter tornare ad allenare i bambini, se un giorno dovesse lasciare la panchina della prima squadra. E allora vai Mario, insegna alla tua squadra cosa vuol dire indossare i colori grigiorossi.
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