Clamoroso: "L'Arpa cercò di camuffare lo scopo dei piezometri"
Nella foto, da sinistra, gli avvocati di parte civile nel processo Tamoil Cannavò, Gennari, Lattari, Tampelli e Romanelli
AGGIORNAMENTO – Arriva dall’ultimo intervento della giornata degli avvocati di parte civile il colpo di scena nel processo ‘madre’ Tamoil che vede accusati cinque manager della raffineria accusati di avvelenamento delle acque e omessa bonifica. Per loro il pm Fabio Saponara ha già chiesto condanne che vanno da un minimo di 6 anni e 8 mesi ad un massimo di 13 anni, pene già ridotte di un terzo per il rito abbreviato. Al termine di una lunga giornata di interventi, l’avvocato Alessio Romanelli (parte civile per Gino Ruggeri) ha mostrato al giudice Guido Salvini il documento di un incontro tecnico risalente al 2005 in cui emerge che “il Comune chiedeva discrezione nell’esecuzione delle indagini esterne per non creare allarmismo nella popolazione, e Arpa, in pompa magna, proponeva di giustificare il posizionamento dei piezometi nelle società sportive come indagine preliminare per la nuova avanconca del porto”. Quindi, per l’avvocato Romanelli, “si voleva nascondere alla popolazione l’inquinamento in atto”. Nel suo intervento, il legale si è occupato dell’aspetto del dolo che a suo parere “potrebbe anche essere riconosciuto come dolo diretto. Gli imputati si sono rappresentati chiaramente l’evento, e nonostante ciò hanno continuato a contaminare la falda”. Per il risarcimento danno (tutte le richieste verranno quantificate nella prossima udienza di lunedì), l’avvocato Romanelli ha detto di aver analizzato “tutti i profili di danno risarcibili in capo al Comune di cremona, soffermandomi in particolare sia sul danno patrimoniale, per tutta l’attività spesa dal Comune per il caso Tamoil, sia sul danno non patrimoniale derivante dal turbamento della popolazione, dalla lesione del diritto della comunità di vivere in un ambiente salubre e della gravissima lesione all’identita storica, culturale e politica costituzionalmente protetta, nonchè il danno all’immagine e allo sviluppo turistico ed economico”. Ricordiamo che Gino Ruggeri, tesoriere dell’Associazione radicale Piero Welby, è il cittadino che ha voluto difendere gli interessi della collettività, vista la rinuncia del Comune di Cremona a costituirsi parte civile nel procedimento.
A parlare per primo è stato l’avvocato Marcello Lattari che con la collega Annalisa Beretta rappresenta il Dopolavoro ferroviario, che conta 1.800 soci effettivi. “Sussiste”, per i legali, “l’avvelenamento, ossia l’inquinamento delle acque tale da renderle pericolose per la salute pubblica, e sussiste, a titolo di dolo, eventualmente come dolo eventuale, ma dal 2004 – 2005 come dolo diretto, perché c’era la consapevolezza precisa che il sistema fognario interno della raffineria fosse gravemente e diffusamente ammalorato. E questo risulta documentalmente dalle videoispezioni eseguite da una ditta esterna specializzata proprio all’inizio del 2005”. Per i legali, il Dopolavoro ferroviario ha avuto un danno economico perché “per oltre due anni è stato inibito l’uso dei propri pozzi. Quindi ha dovuto sopportare una manutenzione straordinaria degli impianti più frequenti ed eseguire prelievi per la qualità dell’acqua, affidandoli ad una ditta privata ed esterna”. “C’e’ stato anche un uso di risorse anche umane”, ha precisato Lattari, “ed è stata riscontrata una minore frequentazione dei soci soprattutto nei periodi di maggiore allarme”. In più “un danno di immagine e una lesione del diritto allo svago”.
L’avvocato di Legambiente Lombardia Sergio Cannavo’ si è invece concentrato sul reato di omessa bonifica. “La comunicazione di Tamoil è stata parziale, inesatta, incompleta, perché nonostante risultasse dalla primissima comunicazione del 20 marzo del 2001 che c’era un potenziale inquinamento derivante dalle condotte fognarie, non e’ stato preso alcun provvedimento. Anzi, e’ un dato che e’ stato continuamente ignorato. Nelle comunicazioni che arrivavano agli enti locali non e’ mai stato sottolineato questo potenziale inquinamento”. Il legale ha lamentato un danno all’immagine (“ti batti per tutelare l’ambiente e poi invece qui fanno così”) e un danno patrimoniale “perché l’associazione e’ presente in tantissime attività e le condotte degli imputati tendono a sminuire ciò che fanno tutti i nostri iscritti”.
E’ stata poi la volta dell’avvocato Vito Castelli per tre soci della canottieri Flora e cinque della Bissolati. “Ho cercato di evidenziare la perdurante e continuativa esposizione al pericolo dei soci in relazione al delitto di avvelenamento delle acque, in considerazione dei valori di concentrazione delle sostanze rinvenute nelle acque di falda nei pressi dei punti di emungimento e degli effetti tossici e cancerogeni che dalle sostanze stesse scaturiscono effetti che possono anche coesistere”. L’avvocato ha quindi “correlazionato la relativa pretesa risarcitoria alla durata e all’intensità dell’esposizione al pericolo dei soci”.
Lunedì chiuderà gli interventi delle parti civili l’avvocato Claudio Tampelli per altri 8 soci della Bissolati. Poi sarà la volta delle difese.
Sara Pizzorni
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