Cronaca

Utero in affitto, parla l'imputato ma il dna non è suo: truffato?

E’ tornato in aula il caso della coppia di cremaschi imputata di alterazione di stato per aver ottenuto la trascrizione in Italia dell’atto di nascita di un bimbo nato in Ucraina attraverso maternità surrogata. Oggi il collegio dei giudici ha sentito l’imputato che ha ricostruito passo passo la vicenda e ha parlato dei tre viaggi a Kiev con la moglie. “Non permettono di adottare i bambini”, ha commentato il papà cremasco al termine dell’udienza. “Danno i bimbi col contagocce. Se no, non avremmo fatto questo. Io però il mio bambino lo devo portare a casa”. Ma il bimbo, in realtà, di chi è figlio ? Sul caso, a suo tempo era intervenuto il procuratore presso il tribunale dei minorenni di Brescia Emma Avezzù, che aveva spiegato il motivo per cui alla coppia era stato tolto il bambino dopo averlo avuto con sè per un anno e mezzo. L’esame del dna aveva infatti svelato che il piccolo non è figlio di nessuno dei due cremaschi, segno che il materiale biologico usato nella fecondazione artificiale non appartiene né all’uomo, né alla donna italiani. La coppia cremasca lo sapeva o e’ stata vittima di una truffa ?. Truffa, per l’avvocato difensore Cecilia Rizzica, di Roma, che sulla questione ha dichiarato: “il mio cliente non vuole far causa in Ucraina perchè non gli interessa il risarcimento, gli interessa solo riavere il suo bambino”. E sul dna ? “Brescia non crede allo scambio di provette”, ha rilanciato il legale, “ma come abbiamo visto per l’ospedale Sandro Pertini, può capitare”.
Attualmente il bimbo è in affido presso una famiglia. La storia risale a tre anni fa, quando i due coniugi si erano rivolti alla Biotexcom center for human reproduction, società accreditata a Kiev, dando avvio alle procedure e versando 30 mila euro. Il bimbo, nato nel settembre del 2011, era poi stato iscritto all’anagrafe di Kiev come figlio della coppia, così come prevede la legge ucraina. Successivamente i genitori cremaschi avevano portato il bambino in Italia e intanto l’ambasciata ucraina aveva chiesto all’ufficio anagrafe di Crema di trascrivere il certificato di nascita. Tutto sembrava andare nel migliore dei modi, fino a quando qualcuno aveva segnalato che la donna non era mai rimasta incinta. Oggi in aula, dopo l’esame dell’imputato, e’ stata sentita anche una parente della coppia che ha riferito di essere stata a conoscenza dei viaggi a Kiev di marito e moglie. L’avvocato Rizzica ha poi prodotto la sentenza di assoluzione emessa dal tribunale di Milano per una vicenda che il legale ha definito ‘fotocopia’ (ma non secondo l’accusa, visto che il bambino non è figlio degli imputati) e che ha riguardato una coppia di Milano. Finora sono una ventina i casi simili finiti nelle aule dei tribunali, dei quali solo due terminati con una condanna: a Brescia (cinque anni e due mesi per alterazione di stato) e a Varese (un anno e due mesi per falso ideologico). Per la sentenza di Cremona bisognerà attendere il prossimo mese di ottobre.

Sara Pizzorni

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