Commessa 'diabolica' mette zizzania tra le colleghe Un incubo durato 7 anni
Avrebbe diffamato Silvia, descrivendola come “una persona incapace sul lavoro, per niente professionale, lazzarona, che discrimina la collega Elena, sostenendo che sia una pazza e una poco di buono”; avrebbe diffamato Rossana, responsabile del negozio, definendola “inetta nell’organizzazione e nel controllo”, una donna che “ha ottenuto e conservato il suo ruolo lavorativo unicamente grazie a proposte sessuali nei confronti di uno dei titolari”, una “frustrata per non aver avuto figli” e una “persona invidiosa che non vuole crescere professionalmente nessuno”; avrebbe diffamato anche Federica, definendola una “persona molto falsa che scredita le capacità professionali di Rossana, che manovra per rubarle il ruolo e che afferma alle sue spalle che sia un’inetta e un’incapace”, una “sfigata, inaffidabile sul lavoro che parla sempre e non fa mai quello che dice”, una “donna facile che si veste e si trucca in modo provocante”. Diffamazione pure nei confronti di Alida, una cliente, descritta come una “pazza pericolosa e psichiatrica”.
Per sette lunghi anni, due commesse, la responsabile e una cliente del negozio CasaMia del centro commerciale CremonaPo di Cremona sarebbero state sottoposte ad ogni genere di angherie e malignità da parte di Cristiana, una collega, che ora deve difendersi davanti al giudice di pace Luciano De Vita dall’accusa di diffamazione. Il suo modus operandi ? Acquisire la fiducia di ognuna di loro, entrando in confidenza, mostrandosi amica e raccogliendo nel contempo la maggior quantità possibile di informazioni sulla loro vita, sfruttandone i punti deboli, mettendole in discordia l’una con l’altra, ad ognuna riferendo falsamente che l’altra sparlava di lei. Tutto con l’unico fine di dividerle ed isolarle, così da poter acquisire una sorta di ascendente e controllo su di loro.
Cristiana avrebbe messo zizzania tra le sue colleghe per anni, fino al 13 settembre del 2013, quando all’interno del centro commerciale si era tenuta una riunione alla quale avevano preso parte titolari, responsabili e dipendenti. In quell’occasione, come ha riportato nell’atto di costituzione del ricorso immediato l’avvocato Massimiliano Cortellazzi, legale delle parti offese, “tanto i titolari quanto i dipendenti realizzavano ciò che ormai da tempo stava accadendo al negozio di Cremona, e capivano che con lucida cattiveria e metodo scientifico gli assenti venivano sistematicamente diffamati dalla dipendente e le persone che potevano costituire, a suo avviso, un potenziale rischio per la sua carriera sul posto di lavoro perché considerate più valide di lei venivano invariabilmente messe in cattiva luce con l’Azienda”.
“La vita era diventata insostenibile”, si è sfogata una delle commesse, “non eravamo più padrone della nostra vita, lei ci metteva addosso ansia”. Da anni Cristiana, che in seguito alla riunione di settembre ha rassegnato le proprie dimissioni, “terrorizzava le altre dipendenti, raccomandando loro di non rimanere assolutamente incinte, perché l’Azienda, per non pagare la maternità, le avrebbe vessate sino a far perdere loro il bambino”. Sembra inoltre che la donna fosse “avvezza a parlar male dell’Azienda con tutti, clienti e colleghe, sostenendo addirittura, in presenza dei clienti, che la merce venduta era di scarsa qualità, inducendoli a non acquistare o a restituire il prodotto, se la vendita era di importo rilevante ed era stata effettuata da una collega, in modo da non farle raggiungere statistiche di vendita superiori alle sue. Dipendenti messe le une contro le altre, senza sapere che dietro, a manovrare i fili, ci sarebbe stata proprio la loro collega. A causa di questa vicenda, addirittura, una delle commesse è finita in cura da uno psichiatra.
Neppure le clienti, come si legge nell’atto depositato dall’avvocato Cortellazzi, sarebbero state risparmiate, tantomeno quelle ‘affezionate’: ad Alida, ad esempio, “come favore e in segno di amicizia”, Cristiana avrebbe chiesto “di inviare una email alla sede dell’Azienda per elogiarne il comportamento e la professionalità, sostenendo, con le lacrime agli occhi, di aver paura di essere licenziata a causa della crisi”, ma nello stesso tempo, “a tutte le altre persone, anche in altri negozi del centro commerciale, descriveva la cliente come una “pazza pericolosa”.
Questa mattina Cristiana, difesa dall’avvocato Marcello Lattari, non è comparsa davanti al giudice di pace. Lo hanno fatto, invece, le sue colleghe e la cliente, che nel processo hanno intenzione di costituirsi parte civile. Intanto, però, tra le parti si sono aperte trattative per la conciliazione. “Vedremo”, ha detto una delle parti offese. “Ma voglio le scuse in mondovisione”. Se ne riparla il prossimo 28 maggio.
Sara Pizzorni
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