Cronaca

Apic, in aula l'ex collaboratore: 'Feroldi agiva su indicazione del presidente Torchio'

Nella foto, Franco Feroldi (a destra) e il suo avvocato Massimiliano Cortellazzi

“Feroldi si occupava di tutto, era l’anima dell’Apic per la sua passione e per il suo impegno. Ma agiva su indicazione stretta del presidente Giuseppe Torchio”. Lo ha detto oggi in aula Alberto Bardelli, dal 2001 al 2009 addetto stampa del settore cultura dell’amministrazione provinciale e dell’Apic, chiamato a testimoniare davanti al collegio presieduto dal giudice Maria Stella Leone (a latere i colleghi Francesco Sora e Cristina Pavarani) nel processo per peculato contro Franco Feroldi, ex coordinatore e dirigente del settore cultura Apic, ex braccio culturale dell’amministrazione provinciale travolto da un debito accertato di tre milioni di euro verso fornitori e creditori, e di altri tre milioni di crediti inesigibili, cioè andati persi e finiti nel passivo. Secondo la procura, tra il 2005 e il 2007 Feroldi si sarebbe  intascato 168.334 euro, denaro ricavato dal 50 per cento dei biglietti relativi al museo civico e alla sala dei violini in base ad una convenzione secondo la quale metà dell’incasso andava all’Apic e l’altra metà al Comune. Bardelli, uno dei testimoni chiamati dalla difesa, ha spiegato che “Feroldi era dirigente su mandato fiduciario, aveva un ruolo operativo e non decisionale, curava l’organizzazione delle mostre”. “L’autorizzazione per tutto, però, la dava il presidente Torchio”, ha ribadito Bardelli, la cui collaborazione all’interno dell’Apic si era fatta più intensa a partire dal 2004 proprio con la gestione Torchio. Il teste, che ha descritto l’imputato come “persona capace”, ha spiegato che “l’Apic, braccio armato nell’organizzazione degli eventi culturali della Provincia, veniva utilizzato intensamente”, anche negli ultimi anni, seppur “a fronte di bilanci che si contraevano”. Bardelli ha riportato in aula che Feroldi, prospetto dei conti alla mano, aveva fatto presente lo stato finanziario sia all’allora assessore alla Cultura Denis Spingardi che allo stesso Torchio. A suo dire non si sarebbero potute affrontare le spese per organizzare un evento, ma Torchio, sempre secondo quanto riferito da Bardelli, non era d’accordo. “’Fatelo lo stesso’, aveva detto il presidente”.

In aula, sempre come testi della difesa, sono stati  sentiti anche i due tassisti che hanno accompagnato l’imputato nei viaggi di lavoro.

“Dal 2004 al 2007 portavo Feroldi da Cremona a Dosimo da alcuni fornitori, poi a Brescia dove c’era un’azienda che stampava cataloghi, così come in alcune case editrici e centri stampa a Milano”, ha raccontato Luca Voltolini, tassista “da 27 anni”. “Con Feroldi ho fatto parecchie centinaia di corse”, ha spiegato il teste, che ha detto di essere stato regolarmente pagato. “Ho concordato i compensi con l’ufficio amministrativo dell’Apic. Segnavo tutte le corse e poi chiedevo la fattura e attendevo il pagamento”. “Ma da cittadino”, ha aggiunto, “mi sono sempre chiesto come mai non avesse un mezzo a disposizione”. Voltolini, che veniva pagato a volte con bonifici e a volte in contanti (20.000 euro il totale), ha detto che “le corse di eccezionale urgenza erano la norma”, soprattutto a ridosso delle mostre, quando bisognava portare anche del materiale, così pure “era nella norma rientrare la sera tardi. Feroldi lavorava anche una ventina di ore al giorno. Spesso mi capitava di vederlo alle 6 del mattino e poi anche a mezzanotte”.

Anche Giovanni Carrera, tassista “da 21 anni”, ha lavorato per Feroldi. “Per Feroldi e per l’Apic ho lavorato dal 2005 in avanti. Si andava a Milano, Torino, Firenze. Lo accompagnavo nelle case editrici e a visitare curatori di mostre”. Viaggi per 35/40.000 euro. “Mi hanno pagato tutto”, ha sottolineato Carrera, che ha aggiunto: “molte volte si andava a ritirare del materiale, spesso cataloghi. Occorreva velocità, perché come tutte le cose pubbliche si facevano sempre all’ultimo minuto. Feroldi lavorava anche 30 ore al giorno. C’erano giorni in cui dovevo andare a prenderlo alle 5 del mattino e poi tornavamo alla sera tardi”. “Le trattative per questi viaggi le ho sempre fatte con Feroldi”, ha chiarito il teste. “I pagamenti erano con bonifici ma anche in contanti. I soldi me li dava direttamente Feroldi o anche la segretaria in ufficio”.

Ultimo teste della difesa, Luigi Minelli, collaboratore Apic dal 1994. Aveva il compito di gestire la biglietteria e il bookshop. “Facevo i conti e alla fine preparavo la busta con il denaro, mentre le matrici dei biglietti venivano conservate, ma rimanevano nel bookshop”. “Di Feroldi”, ha aggiunto il teste, “non posso dire altro che bene. Si interessava del buon funzionamento delle mostre. Era lui il mio capo, e lui a sua volta in Provincia aveva il suo superiore”. A Minelli, l’Apic deve ancora dei soldi. “Ho 900 ore di lavoro non pagate”.

Nel processo, l’Apic, che ha cessato la sua attività nel 2009 e che ora è in liquidazione giudiziale, è parte civile attraverso l’avvocato Isabella Cantalupo.
Le conclusioni del processo sono state fissate al prossimo 6 maggio.

Sara Pizzorni

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