Tamoil filone 'Stanga' Chiesti 10 mesi, la difesa: 'Capo di imputazione confuso'
Se per la difesa Tamoil il capo di imputazione è “confuso” e “non individua gli autori materiali delle condotte”, per il pm onorario Silvia Manfredi si è raggiunta la prova della colpevolezza dei tre imputati per i quali l’accusa ha chiesto una pena di 10 mesi di arresto e 60.000 euro di ammenda ciascuno. Il processo, che si celebra davanti al giudice Francesco Sora, riguarda uno dei filoni Tamoil nel quale sono accusati Enrico Gilberti, gestore della raffineria, Livio Ernesto Tregattini, delegato del settore ambiente e sicurezza e il libico Mohamed Abulaiha Saleh. Devono rispondere di getto pericoloso di cose, illecita gestione de rifiuti, reati in materia edilizia e dello sversamento nel fiume Po di acque reflue industriali tossiche e pericolose.
Per quanto riguarda l’illecita gestione di rifiuti, che sarebbe avvenuta tra il 26 novembre e il 4 dicembre del 2009, gli imputati sono accusati di aver stoccato e depositato in modo incontrollato, in più zone dell’azienda, rifiuti pericolosi derivanti dalle attività di raffinazione e di reati in materia edilizia, per aver realizzato senza permessi 12 edifici che utilizzavano per lo stoccaggio dei rifiuti.
Ai tre è contestato anche l’episodio dell’ 8 settembre del 2009, quando, per l’accusa, avevano sversato nel fiume Po acque reflue industriali tossiche e pericolose per la presenza, visiva e olfattiva, di idrocarburi liquidi e di sostanze derivate dalla lavorazione del petrolio. Infine, il reato di getto pericoloso di cose per i due episodi relativi al forte odore di idrocarburi che secondo l’accusa si era sprigionato dalla raffineria il 24 e il 26 novembre del 2009. L’odore aveva raggiunto il confinante istituto Stanga, provocando malori in alcuni dipendenti della scuola.
A demolire l’accusa ci hanno provato gli avvocati della difesa, Carlo Melzi d’Eril per Gilberti, Simone Lonati per Abulaiha ed Isabella Cantalupo per Tregattini. Melzi d’Eril, in particolare, ha puntato sulla genericità del capo di imputazione, sulla mancanza sia della colpa che del dolo e sul fatto che nel capo di imputazione non vengono individuati gli autori materiali delle condotte. “Non vengono menzionate le persone”, ha detto il legale. “Gilberti è individuato come gestore Tamoil, una figura misteriosa, tra le tante che esistono. Non è dirigente, non è il preposto. In realtà egli è in una posizione troppo bassa per essere il legale rappresentante e troppo alta per essere un soggetto che concretamente ha compiuto quelle condotte all’interno dell’organigramma”.
Per quanto riguarda l’illecita gestione di rifiuti, d’Eril ha fatto notare che “non si tratta di una gestione illecita, ma di un deposito di materiale da parte della ditta esterna Petroltecnica che aveva l’appalto e che era incaricata di svolgere un compito preciso: quello di raccogliere i rifiuti prodotti durante la fase di ripulitura e portali via per essere selezionati e smaltiti correttamente”. “Tamoil”, ha sottolineato il legale, “non ha le competenze per la gestione dei rifiuti. Se un errore c’è stato, è stato di Petroltecnica”. Di più: l’avvocato ha aggiunto che “le analisi effettuate da Arpa hanno dimostrato che in nessun caso è stata superata la soglia di concentrazione della contaminazione”.
Per quanto attiene, invece, al fatto di aver realizzato senza permessi 12 edifici utilizzati per lo stoccaggio dei rifiuti, d’Eril ha spiegato che “ci sono state difformità tra le planimetrie contestate all’interno della società e la realtà dei fatti”. “Quegli immobili”, ha aggiunto, “erano lì almeno da prima del 1994. Lo hanno confermato anche i testimoni. Non c’è la prova che siano abusivi. Inoltre prima del 1995 nessuno degli imputati ricopriva una posizione di vertice all’interno della società”.
L’avvocato Simone Lonati si è addentrato sul reato inerente lo sversamento nel Po di acque reflue industriali tossiche e pericolose, ed ha ribadito, come aveva già fatto ad inizio processo, la questione della territorialità. Per il legale, infatti, “il luogo di consumazione del reato è in provincia di Piacenza” e non a Cremona. “Lo scarico del fiume si trova in provincia di Picenza”, ha detto. Il legale ha anche chiesto al giudice l’inutilizzabilità dei prelievi e delle analisi effettuati in quanto “sono state poste in essere violazioni delle norme”. “Non c’erano ragioni di urgenza”, ha aggiunto, ricordando la testimonianza del geologo Pierangelo Alesina, che aveva parlato di “condizioni imprevedibili dovute ad una situazione meteo climatica e ad un malfunzionamento del meccanismo di sicurezza che ha provocato l’abbassamento del livello della falda”.
Per quanto riguarda invece gli odori allo Stanga, l’avvocato Lonati ha detto che “la contestazione non sta in piedi. Il dibattimento non ha dimostrato il superamento del limite di tollerabilità”. “L’odore percepito”, ha spiegato, “sarebbe stato più intenso all’esterno della raffineria rispetto che all’interno della stessa”. “Gli odori”, ha aggiunto, “sarebbero stati intollerabili solo per chi era allo Stanga e non per chi si trovava alla Tamoil”. Ed ha citato la testimonianza del preside dello Stanga, che in un’occasione era fuori sede ma che era arrivato nel giro di un’ora. “Era rimasto sorpreso, quasi deluso, perché non aveva sentito praticamente nulla”.
Infine per Tregattini ha parlato l’avvocato Isabella Cantalupo. “Il mio cliente”, ha detto il legale, “è stato assunto in Tamoil nel 2003 come quadro. Non ha mai avuto un incarico dirigenziale e non è mai stato investito di particolari deleghe. Non è nemmeno mai stato nominato dai testimoni. E’ una figura scarso rilievo”.
La sentenza verrà pronunciata dal giudice Francesco Sora il prossimo 19 febbraio.
Sara Pizzorni
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