Cronaca

Poliziotti a processo La difesa: 'Mai autorizzata perquisizione'

Si sono difesi, in aula, tre dei cinque poliziotti della stradale di Crema finiti davanti al collegio con varie accuse, tra cui sequestro di persona, violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale e falsità ideologica in atti pubblici (gli altri due parleranno nell’udienza di marzo). I fatti si sono svolti a Soresina l’11 settembre del 2012. Per la procura, rappresentata dal pm Francesco Messina, due degli agenti sarebbero responsabili di aver “abusato dei poteri inerenti le funzioni”, introducendosi e trattenendosi all’interno dell’abitazione di un giovane di Soresina “in assenza dell’autorizzazione del pubblico ministero, e senza che ricorressero motivi di particolare necessità ed urgenza”. Per l’accusa, i poliziotti si erano presentati nell’abitazione del 25enne, che viveva con la madre, e avrebbero effettuato una “sommaria perquisizione”, omettendo di informare sia il giovane che la madre dei diritti e delle facoltà previsti dalla legge e omettendo di redigere il verbale. A fare il nome del giovane soresinese ai poliziotti erano state due persone trovate in possesso di droga. Da qui la visita degli agenti nell’abitazione del ragazzo. Per la difesa, invece, nell’abitazione del ragazzo non ci sarebbe stata alcuna perquisizione illegale. E per quanto riguarda l’accompagnamento in caserma, sarebbe stato proprio il giovane, che aveva appena venduto la sua macchina, a chiedere agli agenti di poter essere accompagnato sull’auto di servizio. La morte del soresinese, infine, non sarebbe in alcun modo collegabile ai fatti accaduti. Per la difesa, il 25enne si sarebbe tolto la vita perché rovinato dai debiti.

Il comandante della stradale, sentito in udienza, ha negato di aver dato indicazioni o autorizzazioni ai suoi agenti di effettuare una perquisizione. Diversamente da quanto sostiene il pm Messina, che a verbale ha la dichiarazione di uno degli agenti sotto processo il quale a suo tempo, proprio davanti al pm, aveva dichiarato di aver ricevuto l’ordine del comandante di compiere la perquisizione. “Quel giorno mi stavo occupando di un incidente mortale”, ha detto il comandante, che ha riferito di aver ricevuto dal suo assistente capo due telefonate: nella prima gli era stato comunicato che erano stati fermati due egiziani trovati con una modica quantità di stupefacente, e nella seconda che era stato individuato il presunto spacciatore, la persona descritta dai due egiziani. “Nei confronti di uno degli egiziani”, ha spiegato il comandante, “è stata elevata una contravvenzione ed è stato segnalato alla Prefettura come assuntore di stupefacenti, mentre per il 25enne, che aspettava in sala d’attesa, è stato stilato un verbale di elezione di domicilio con la sua identificazione. Gli ho spiegato che era stato indicato da due persone come spacciatore e che stavano procedendo contro di lui con una denuncia in stato di libertà”. Il comandante ha anche aggiunto che al comando il ragazzo e gli egiziani non si sono mai incontrati e che al termine degli accertamenti il giovane se n’era andato. “E’ stato al comando massimo venti minuti, mezz’ora”.

Per i poliziotti c’è anche il reato di sequestro di persona: per la procura, avrebbero privato il giovane della libertà personale, “prelevandolo dalla sua abitazione di Soresina, conducendolo presso gli uffici della polizia stradale di Crema e trattenendolo per circa un’ora, ai fini dell’identificazione, senza che ricorressero i presupposti di legge e senza dare immediata notizia dell’accompagnamento al pubblico ministero”.
Due degli agenti, invece, avrebbero “omesso di riferire in merito all’ingresso nell’abitazione e alla sommaria perquisizione effettuata, attestando falsamente di aver atteso sotto casa per circa dieci minuti” sino a quando il giovane era sceso ed era stato “invitato” presso gli uffici di polizia.

Uno dei poliziotti sentiti ha spiegato che l’11 settembre del 2012 si trovava in servizio esterno con il suo capopattuglia quando erano stati chiamati da un’altra pattuglia che chiedeva ausilio per due extracomunitari con stupefacenti. “Una volta partiti, in cinque minuti ci siamo incontrati nel centro di Soresina con l’altra pattuglia. Siamo scesi e il collega ci ha spiegato il ritrovamento di stupefacenti. I due fermati avevano fatto il nome del presunto spacciatore e si voleva accertare l’ubicazione dell’abitazione”. Una volta arrivato a circa 10-15 metri della casa del presunto spacciatore seguendo la direzione presa poco prima dal collega che aveva richiesto ausilio, il poliziotto sentito in aula ha riferito di aver visto il collega stesso (arrivato davanti al cancello dell’abitazione prima di lui) parlare con la madre del ragazzo e di aver atteso a distanza, in strada; ha poi raccontato di aver dedotto l’ingresso del collega nell’abitazione assieme alla donna e al ragazzo che si era poco prima affacciato sul cortile a torso nudo (“la visuale era ostacolata ma ho visto movimento verso l’ingresso della casa e poi non ho sentito più nulla in cortile”) e dopo cinque minuti di aver sentito di nuovo voci in cortile e di aver visto il collega uscire dal cancello seguito dal giovane con addosso una maglietta. “Il ragazzo, come mi ha riferito il mio collega, non era automunito e così è salito spontaneamente sul mezzo di servizio. Mi sembrava tranquillo, non ha fatto opposizione. In macchina non abbiamo mai parlato con lui”. “Si parlò di perquisizione?”, ha chiesto il difensore. “No”, ha risposto l’imputato, che ha aggiunto che quando lui e i colleghi erano venuti a sapere del suicidio “c’era stato dispiacere, ma non abbiamo ritenuto il fatto collegato con il nostro intervento”.

Sentito come testimone della difesa anche un egiziano, amico “da anni” del 25enne suicida. “In passato ha manifestato problemi con la morosa”, ha spiegato. “Ho saputo che tre giorni prima aveva cercato di impiccarsi. Lui e la fidanzata litigavano spesso. Non so se usava stupefacenti”. L’ultimo contatto con l’amico? “Un mese prima della morte”.

Nel processo si è costituita parte civile la madre del giovane soresinese, morto suicida. Dopo la morte del figlio, pare proprio in seguito a questi fatti, la donna aveva sporto denuncia, facendo aprire l’indagine.

Gli imputati sono difesi dagli avvocati Massimiliano Cortellazzi, Massimo Martelli, Fulvio Pellegrino, Luigi Gritti, Roberta Manclossi e Marco Simone.

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