Apic, parla l'impiegata 'modello': "prestiti a Feroldi per risolvere la crisi"
Nella foto, da sinistra Franco Feroldi e il suo avvocato Massimiliano Cortellazzi
E’ ripreso oggi davanti al collegio presieduto dal giudice Maria Stella Leone (a latere i colleghi Francesco Sora e Cristina Pavarani) il processo per peculato contro Franco Feroldi, ex coordinatore e dirigente del settore cultura Apic, ex braccio culturale dell’amministrazione provinciale travolto da un debito accertato di tre milioni di euro verso fornitori e creditori, e di altri tre milioni di crediti inesigibili, cioè andati persi e finiti nel passivo. Secondo la procura, tra il 2005 e il 2007 Feroldi, tuttofare dell’Apic, si sarebbe intascato 168.334 euro, denaro ricavato dal 50 per cento dei biglietti relativi al museo civico e alla sala dei violini in base ad una convenzione secondo la quale metà dell’incasso andava all’Apic e l’altra metà al Comune. Nel processo, l’Apic, che ha cessato la sua attività nel 2009 e che ora è in liquidazione giudiziale, è parte civile attraverso l’avvocato Isabella Cantalupo.
LA TESTIMONIANZA DELL’IMPIEGATA ‘MODELLO’: “HO FATTO PRESTITI A FEROLDI, SPERAVO POTESSE RISOLVERE LA CRISI DELL’APIC”
Feroldi non ci sta a passare per un manager infedele. Al contrario, a suo dire aveva a cuore le sorti dell’associazione. “Per evitare il macello, che poi è arrivato, ci ho rimesso una paccata di soldi. Ho persino ricomprato io i beni pignorati”. Da quanto emerso in udienza, Feroldi non era stato il solo ad aver sborsato di tasca propria. Anche l’impiegata Danila Manotti aveva tentato di frenare l’emorragia. “Ho fatto prestiti a Feroldi: la prima volta un assegno di 10 mila euro, che poi mi è stato restituito, poi ho dato un altro assegno sempre di 10 mila euro, più 2500 euro in contanti che non ho più visto”. L’ex impiegata ha sostenuto di aver prestato quel denaro a Feroldi “perché era un uomo di cui mi fidavo e mi fido, e perché speravo che potesse risolvere la crisi del’Apic. La situazione era critica, il mio lavoro mi piaceva e volevo contribuire in qualcosa, anche perché volevo continuare a lavorare”.
LE MODALITA’ CON CUI VENIVANO INCASSATI E VERSATI I SOLDI DEI BIGLIETTI – IL DENARO VERSATO SUL CONTO CORRENTE DI FEROLDI
Nel processo, incentrato a capire le modalità con cui venivano incassati e versati i soldi dei biglietti, si intende arrivare all’origine dell’ammanco. Stando alla verità dell’impiegata, funzionava così: ci pensava quasi sempre lei, alla fine di ogni settimana, a ritirare, presso i bookshop, le buste con gli incassi settimanali e i registri su cui erano segnati i corrispettivi. “Le buste erano chiuse con segnato l’importo complessivo”, come hanno anche confermato due addetti alle biglietterie. “Aprivo le buste, verificavo che il contenuto corrispondesse, le richiudevo, le siglavo con la mia firma e poi le consegnavo a Feroldi che era il mio referente in Apic presso l’amministrazione provinciale. Feroldi mi consegnava la distinta di versamento già firmata dal tesoriere, apriva l’armadio, mi dava la busta, io l’aprivo e verificavo la corrispondenza tra i soldi e i biglietti staccati. Poiché a volte l’operazione era lunga, Feroldi tornava dopo 10- 15 minuti”. Terminata la verifica, ci pensava sempre lei, magari non lo stesso giorno, ma nei giorni successivi, a recarsi in banca e a versare i soldi. Il 50 per cento spettante al Comune inizialmente finiva sul conto della tesoreria del Comune stesso, ma poiché Manotti non aveva la delega, il funzionario di banca si era lamentato, e con Feroldi si era trovata un’altra soluzione. Per cinque volte nell’arco di un mese, Manotti aveva versato il denaro sul conto corrente personale di Feroldi e della moglie, e da qui veniva girato sul conto della tesoreria del Comune. Una procedura anomala che aveva fatto drizzare i capelli negli uffici comunali, tanto che nell’estate del 2007 il tesoriere dell’Apic Stefano Sentati era stato convocato nel palazzo di piazza del Comune 8. “Mi hanno chiesto cosa stessi combinando, e ho scoperto solo in quel momento che c’era una convenzione con l’Apic e che ogni mese i soldi arrivavano dai conti personali di Feroldi e moglie. Allora presso Banca Intesa ho aperto un nuovo conto corrente dell’Apic con la mia firma”.
FEROLDI: “HO CERCATO DI FRONTEGGIARE LA CRISI ANCHE CON BENI PERSONALI, CI HO RIMESSO UNA PACCATA DI SOLDI” – 1.329,60 EURO PER RICOMPRARE GLI ARREDI PRIMA CHE ANDASSERO ALL’ASTA
Ma torniamo all’ex impiegata. “E’ certa di aver portato in banca tutti i soldi delle biglietterie?”, ha rilanciato l’avvocato di parte civile Isabella Cantalupo. “Suppongo di sì”, ha risposto la teste. Ma a questo punto è partita la contestazione del legale che ha ricordato a Manotti quanto la stessa avesse dichiarato alla finanza il 13 dicembre del 2010, quando aveva fatto verbalizzare: “non sono in grado di dire se quello che ho versato corrisponda a quello che ho ritirato”. Ma a tre anni da quella convocazione in caserma, Manotti ha spiegato il clima in cui aveva fatto quelle dichiarazioni. “Era un momento molto stressante: i dipendenti, i fornitori, il commissario liquidatore, chiedevano tutti a me”. In aula Feroldi ha ascoltato la testimonianza della sua ex impiegata modello, e dopo il rinvio del processo al 4 marzo, affiancato dall’avvocato Massimiliano Cortellazzi, si è lasciato andare. “Ho cercato di fronteggiare anche con beni personali la crisi dell’Apic, perché le quote del Comune e tutto il resto arrivava in ritardo”. Tra le mani, l’imputato ha un documento. È la fattura della vendita dei beni pignorati e ricomprati da lui prima che andassero all’asta e prima che sulla scena comparisse il commissario liquidatore Paolo Rossi. 1329,60 euro per riacquistare gli arredi. “Nel marzo del 2009 avevamo gli ufficiali giudiziari nella sede. Dovevamo sborsare i soldi per tacitare gli avvocati. L’ultimo ufficiale giudiziario ha pignorato tutti i mobili. Io ho telefonato a Danila che era la disperata. Ci ho rimesso una paccata di soldi, anche per non rimetterci il 50 per cento della pensione, visto che da lì a poco avrei lasciato”.
LA TESTIMONIANZA DEL LIQUIDATORE GIUDIZIALE ROSSI E DEL TESORIERE SENTATI
“Il sistema di incassare le vendite dei musei con le buste era molto approssimativo”. Lo ha detto in aula il commercialista Paolo Rossi, il liquidatore giudiziale nominato dal tribunale il primo agosto del 2009, nomina accettata il 20 agosto al rientro dalle vacanze. “Ho cercato di capire come funzionava, ho fatto le verifiche sulla contabilità. Il tesoriere Sentati mi ha messo a disposizione tutta la documentazione. La contabilità era ordinata e facilmente riscontrabile”. Il teste ha ricordato che il bilancio 2007/2008 non era stato approvato, di aver esaminato 400 posizioni e che “rispetto a quanto indicato nel bilancio, molte posizioni non erano a posto, soprattutto ho riscontrato un passivo di 3.045.707, rispetto al milione e 700 mila indicato in bilancio”. Rossi ha fatto verbalizzare di essere stato chiamato dall’ex presidente della Provincia Giuseppe Torchio “che voleva darmi il suo punto di vista. Ho convocato anche Feroldi per avere delucidazioni sul funzionamento dell’Apic, era stato Torchio ad indicarmelo perché conosceva i fatti. Feroldi mi ha detto di aver pagato lui diversi fornitori, ma non ho avuto riscontri contabili, anche perché pensavo che mi producesse le fatture e non si è insinuato nel passivo”. Quanto gli incassi dei musei, il commissario liquidatore ha affermato di non essere stato in grado di fare una verifica sulla corrispondenza tra il numero dei biglietti venduti e l’ammontare dell’incasso, “perché non ho trovato documentazione“.
“All’Apic non si sono mai gestiti contanti, non c’è mai stata una cassa”. Lo ha ribadito il ragioniere commercialista Stefano Sentati, dal 2002 nominato tesoriere dell’associazione culturale. Il teste ha spiegato che “per statuto io controfirmavo i mandati di pagamento già predisposti, qualche volta li ho firmati in bianco. La documentazione mi veniva portata in studio da dipendenti e collaboratori Apic”. Sentati non si è mai recato personalmente nella sede dell’associazione, “perché venivo pagato 9000 euro all’anno e alla fine non li ho neanche presi”. Sentati ha confermato di aver avuto rapporti con la Provincia e anche con Feroldi, “ perché era quello che organizzava le manifestazioni, un interfaccia importante. Mi faceva avere le fatture, le giacenze di magazzino, mi diceva quali contributi erano da incassare, i documenti arrivavano con grave ritardo. A fine anno Feroldi compilava il prospetto per i due musei e sulla scorta di quel prospetto a mia volta compilavo le fatture, una per il 50% all’Apic e l’altro 50% al Comune”. Tutto bene fino al 2005. Poi nel 2007 Sentati era stato convocato in Comune dove aveva scoperto l’esistenza della convenzione in base alla quale la fattura doveva essere fatta ogni mese. “Io non sapevo nulla sulle modalità degli incassi dei biglietti e dei soldi”.
Sara Pizzorni
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