Utero in affitto, procuratore minori: "Non era loro figlio"
AGGIORNAMENTO – Novità sulla vicenda dell’utero in affitto: sul caso dei genitori cremaschi (tutta la storia è stata pubblicata da Cremonaoggi il 22 ottobre scorso) volati in Ucraina per avere un figlio pagando decine di migliaia di euro e che poi, una volta tornati in Italia, hanno dovuto fare i conti con la legge (sono a processo con l’accusa di alterazione di stato), è intervenuto il procuratore presso il tribunale dei minorenni di Brescia Emma Avezzù, che ha spiegato il motivo per cui alla coppia è stato tolto il bambino. L’esame del dna ha infatti svelato che il piccolo non era figlio di nessuno dei due cremaschi, segno che il materiale biologico usato nella fecondazione artificiale non apparteneva né all’uomo, né alla donna italiani. La coppia, inoltre, si legge sul sito di Biotexcom center for human re production al quale gli aspiranti genitori si erano rivolti, avrebbe fatto quasi tutto per posta, compreso l’invio del seme congelato.
Per ora, come confermato dal sostituto procuratore della Repubblica di Cremona Francesco Messina, i due genitori sono accusati del reato di alterazione di stato e nei loro confronti è in corso il processo. Il pm sta comunque aspettando che la procura di Brescia invii a Cremona tutta la documentazione per eventualmente contestare nuove accuse, facendo aprire nuovi scenari nel caso di cui si sta occupando anche tutta la stampa nazionale (oggi in tribunale a Cremona era presente anche troupe della trasmissione Rai “La vita in diretta”).
Ieri, intanto, era intervenuta anche Eugenia Roccella, onorevole del Pdl e presidente del comitato appena nato “Di mamma ce n’è una sola”. “Il caso di Cremona”, ha dichiarato, “rende evidente come la questione dell’utero in affitto sia qualcosa di cui dobbiamo occuparci perché tocca sempre più coppie italiane e crea gravi problemi ai bambini nati con queste pratiche”. “La notizia del bambino sottratto alla coppia che l’ha avuto grazie all’utero in affitto”, ha continuato la Roccella, “dimostra come con queste pratiche di maternità frammentata sia inevitabilmente il minore a rimetterci. Togliere a un bambino la certezza della maternità e della paternità, ricorrendo a tecniche di laboratorio che coinvolgono diversi soggetti, vuol dire non privilegiare l’interesse del minore, ed esporlo a contenziosi di difficile soluzione. Utero in affitto e compravendita di ovociti sono pratiche vietate nel nostro paese, e le coppie che le utilizzano aggirano la legge italiana rivolgendosi a donne povere di altri paesi che, oppresse dal bisogno, accettano forme di sfruttamento a volte pericolose per la salute e comunque umilianti”.
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