Cronaca

Incendiò il suo bar per l'indennizzo, 28enne condannato

Solo uno dei due fratelli gestori del bar Imperial Caffè di Vicomoscano, frazione di Casalmaggiore, è stato ritenuto colpevole dal giudice Pierpaolo Beluzzi di aver incendiato il proprio locale il 5 ottobre del 2009 al fine di conseguire l’indennizzo dell’assicurazione di 150.000 euro. Si tratta di Francesco Cupitò, 28enne, condannato a tre anni e sei mesi di carcere (per lui il pm onorario Paolo Tacchinardi aveva chiesto la condanna a quattro anni). Assolto per non aver commesso il fatto, invece, Marco Cupitò, di 23 anni (il pm aveva chiesto la condanna a tre anni e sei mesi). Francesco era anche accusato di simulazione di reato per aver sporto querela contro ignoti presso i carabinieri di Casalmaggiore. La motivazione della sentenza sarà depositata entro 90 giorni. I due fratelli di Tropea, in provincia di Vibo Valentia (Calabria), erano difesi dall’avvocato Giovanni Vecchio (Francesco Cupitò) e dall’avvocato Fabio Galli (Marco Cupitò). L’avvocato Marco Bencivenga era parte civile per Axa Assicurazioni che ha chiesto come risarcimento una provvisionale di 1.500 euro. Le difese hanno puntato sulla mancanza di indagini. Per l’avvocato Galli, “non sono stati fatti esami sul liquido contenuto nella tanica, né è stato provato ci fossero difficoltà economiche”, mentre per l’avvocato Vecchio “né i vigili del fuoco, né i carabinieri hanno verificato ci fossero segni di effrazione nel bar”. “Stiamo parlando di due persone incensurate”, ha sottolineato l’avvocato Vecchio, che ha rimarcato il “vuoto probatorio”. “Una sentenza di responsabilità si basa su prove e non su ipotesi”.

Il fatto risale al 5 ottobre del 2009, quando i carabinieri e i vigili del fuoco erano intervenuti per l’incendio del bar Imperial Cafè di Vicomoscano, andato completamente distrutto dalle fiamme. In sede di denuncia, Francesco, che abitava sopra il locale, aveva dichiarato di aver chiuso il bar il lunedì, di essere salito in casa per farsi una doccia e di aver sentito verso le 21 un grande boato. Ai carabinieri aveva raccontato di essere sceso e di aver trovato il locale devastato. Durante il sopralluogo, i militari e i vigili del fuoco avevano rinvenuto una tanica con residui di benzina, accertando subito la causa dolosa. Francesco aveva spiegato di non aver mai visto quella tanica e di non aver mai ricevuto né minacce, né intimidazioni. Durante le indagini era emerso che Francesco, ex camionista, aveva cambiato vita diventando proprietario del locale grazie all’aiuto dei genitori che ne avevano finanziato l’acquisto. In quel periodo, però, a differenza di quanto dichiarato dal proprietario, l’attività del locale era in crisi, gli affari andavano male e secondo quanto accertato dalle indagini, Francesco e il fratello, che dalla Calabria l’aveva raggiunto per aiutarlo, non sarebbero stati più in grado di pagare i fornitori.
A questo proposito c’è la testimonianza di un’inquilina di casa con la quale Francesco si sarebbe confidato dicendole che non ce la faceva più, che voleva tornare in Calabria ma che era preoccupato della reazione dei genitori per via dell’acquisto del locale. Nel corso delle indagini era stato accertato il fatto che la tanica usata per incendiare il locale conteneva detersivo per lavastoviglie. Era quindi una tanica che apparteneva al locale. Per l’accusa, incendiando il locale ed ottenendo l’indennizzo, i due fratelli avrebbero potuto ripagare i genitori e tornare in Calabria.

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