Non cucina il cous cous Botte alla moglie, ma il giudice lo assolve
Il pm onorario Barbara Tagliafierro aveva chiesto per Keita Abdel Kahader, 38 anni, ivoriano residente a Cremona, la pena di un anno di reclusione senza la condizionale, ma il giudice Cristina Pavarani lo ha assolto dalle accuse di maltrattamenti nei confronti della moglie. Per l’altra accusa di lesioni ha disposto il non doversi procedere in quanto a suo tempo la vittima aveva ritirato la querela. La motivazione della sentenza di assoluzione sarà depositata entro 90 giorni. Non sarebbe stata comunque raggiunta la prova della continuità dei maltrattamenti. La lite con la moglie, come aveva spiegato ai carabinieri lo stesso imputato, patito di culturismo, era scoppiata perché a suo dire la donna gli aveva preparato una cena che non era stata di suo gradimento. Lei, connazionale di 33 anni, gli aveva preparato un piatto di pasta anziché il cous cous, scatenando la reazione violenta del marito che l’aveva presa a calci a pugni. Era stata la stessa vittima, quella sera di maggio di due anni fa, a chiamare i carabinieri dopo che il marito l’aveva presa a botte. E quando i militari, una volta sul posto, gli avevano chiesto spiegazioni, lui aveva risposto che lei gli aveva mancato di rispetto, che se avesse voluto avrebbe anche potuto ucciderla, e che non essendo una donna meritevole, l’avrebbe immediatamente allontanata da casa, tenendo con sé il loro bambino di un anno, presente all’accaduto. Dopo le indagini, l’uomo era stato accusato di aver maltrattato la compagna per un periodo di tre anni e di averla ingiuriata e picchiata con pugni e schiaffi e oggetti contundenti. Di come fosse scoppiata la lite per il cous cous l’aveva raccontato al giudice la stessa ivoriana, che nello stesso tempo aveva cercato di attenuare la gravità delle accuse contestate al marito, dicendo che quello era stato l’unico episodio in cui lui l’aveva picchiata. Aveva deciso di variare il menù, cucinandogli un piatto di pasta, ma lui l’aveva presa male. “Quella sera ero nervoso, mi è dispiaciuto”, si era difeso l’imputato, che aveva detto di appartenere alla religione cattolica evangelica e che la sua religione impone un grandissimo rispetto per la famiglia. L’imputato era difeso dall’avvocato Raffaella Parisi. Fa uso di anabolizzanti: così almeno aveva dichiarato in aula una delle assistenti sociali che aveva riferito quanto le aveva confidato la 33enne ivoriana. Tra le altre cose, anche il fatto che il marito non voleva che lei uscisse se non accompagnata. All’epoca la donna aveva trascorso alcuni mesi in una casa protetta con il figlioletto.
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