Mentre il commercio tradizionale soffre va alla grande il mercato dell'usato
Mentre il commercio tradizionale piange miseria, va alla grande il settore dei vestiti e degli accessori di seconda mano. Lo dimostra l’arrivo in città di un nuovo negozio in via Decia, “I Pollicini”, che già esiste a Curtatone, dove vengono venduti abiti e attrezzature destinate dalla prima infanzia e fino ai 12 anni. Si porta al negozio la propria merce usata, anche passeggini, seggiolini per auto, cose molto spesso semi nuove e gli addetti ne valutano il valore. Poi vengono esposti e tenuti in conto vendita per un massimo di sei mesi; se il prodotto viene venduto, al proprietario originario spetta il 50%.
Filosofia del tutto diversa è quella di “Vesti e Rivesti”, negozio di usato di corso Vacchelli 22, sorto nel 2008 come integrazione dell’attività della cooperativa Gamma, che gestisce un centro diurno per malati psichiatrici adulti. La merce che vi arriva è così abbondante che dopo il primo negozio di corso Vacchelli 22 ha dovuto aprire un secondo punto vendita lo scorso anno, solo per uomini, nella vetrina di fronte, al n.31, e attualmente è in corso l’allestimento di un terzo spazio, al 41 sempre di corso Vacchelli. Il primo negozio resterà solo come magazzino, che comprende anche cinque cantine e un locale smistamento dove vengono ricevuti e selezionati i nuovi arrivi. Segno di un’attività in costante crescita, anti-crisi, perchè qui i prezzi vanno da 1 euro per l’abbigliamento intimo, ai 10 euro per cappotti, piumini, soprabiti. Qualcosa arriva persino ai 25 euro, ma si tratta di capi più sfiziosi, spesso firmati, magari usati solo una volta o due. “La clientela è sempre più numerosa”, ci spiega la responsabile dei negozi, Mirella Fioni che coordina un gruppo di 33 volontarie. “All’inizio venivano quasi esclusivamente extracomunitari, poi si sono aggiunti molti cremonesi, pensionati e non solo. Abbiamo deciso di aprire uno spazio a se stante per gli uomini perchè, trattandosi molto spesso di musulmani preferiscono scegliere e provare i capi in camerini separati da quelli delle donne.
Gli uomini sono veloci a scegliere, acquistano jeans a due euro, maglie e felpe che si usurano facilmente perchè li usano per lavorare. Le donne sono più selettive, impiegano più tempo e badano di più allo stile. Abbiamo molte zingare che vengono a cercare gonne ampie e lunghe; mentre per altri abiti etnici c’è poco mercato. E’ un lavoro che dà molta soddisfazione alle nostre volontarie, quasi tutte signore che dedicano mezza giornata alla settimana al negozio. Spesso ci si mette a chiacchiarare con le clienti, ci si scambia ricette, ci si informa sulle abitudini dei paesi di provenienza (molte sono badanti). Ci capita anche di vendere vestiti da sposa, ricordo una ragazza marocchina che ha trovato quello che cercava e non le sembrava vero di poter indossare un vero abito da sposa”.
L’attività commerciale serve anche come supporto ad alcune pazienti psichiatriche.
E poi, oltre agli abiti, borse, scarpe (usate, ma di cuoio e non di plastica), coperte, lenzuola, anche un po’ di libri. Giro d’affari in aumento, mentre le vetrine dei negozi tradizionali sempre più spesso chiudono.
g.b.
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