Lettere

Nessun futuro per l’allevamento di animali “da pelliccia”

da Simone Pavesi (Lav)

Gentile direttore,

ho appreso con piacere dell’avvenuto ravvedimento da parte del proprietario dell’allevamento dei visoni protagonista, anche se non lui personalmente, della sgradevole vicenda dell’inseguimento e dell’aggressione a due volontari di un’associazione per la difesa dei diritti degli animali.

Un gesto necessario per raffreddare le tensioni tra “allevatori” e “animalisti” ma che non mi rassicura più di tanto: vorrei solo ricordare la grave aggressione fisica, sempre da parte di un allevatore, nei confronti del vicepresidente della LAV Roberto Bennati avvenuta nel 2007 a Lodi in occasione di una conferenza stampa (peraltro con il patrocinio del Comune di Lodi) finalizzata alla sensibilizzazione di cittadini e istituzioni sulla problematica delle cosiddette “mucche a terra” (mucche “da latte” non deambulanti e che con metodi coercitivi e violenti vengono trasportate ai macelli invece di essere abbattute in stalla come prevede la normativa; prassi peraltro non ancora sradicata). Prima dell’ingresso in sala già affollata, Bennati venne colpito ripetutamente a pugni sul volto da un allevatore, poi identificato e denunciato, nel tentativo di bloccare la conferenza della LAV.

La LAV e centinaia di altre associazioni animaliste piccole o grandi che siano, come Nemesi Animale a cui afferiscono i due attivisti vittime dell’ultima aggressione, svolgono inevitabilmente un lavoro che risulta scomodo a chi ha interesse, solitamente economico, nello sfruttare gli animali. E’ quindi direi quasi naturale che si vengano a creare tensioni tra le parti coinvolte ma mai la LAV, così come altre associazioni con cui collaboriamo, ha promosso stimolato o rivendicato azioni illegali nello svolgimento delle proprie finalità associative.

Ricordo che la LAV è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale e riconosciuta con decreto ministeriale quale ente morale (oltre che riconosciuta come associazione di protezione ambientale  e molte altre attestazioni). Le azioni pacifiche e legittime compiute dalla LAV, così come quelle di altre organizzazioni affini, sono unicamente rivolte alla promozione di una società responsabile orientata allo sviluppo di attività economiche e di consumi alternativi a quelli che vertono sull’utilizzo di esseri senzienti in qualità di mezzi o risorse.

Negli ultimi anni l’Associazione Italiana Allevatori Visoni sta sfruttando la crisi economica nazionale per fare leva su piccoli allevatori o proprietari di cascine che versano in difficoltà, proponendo l’avvio di allevamenti di visoni spacciandoli come una facile forma di guadagno.

In realtà non è tutto oro quello che luccica. L’allevamento di animali “da pelliccia” non ha alcun futuro ed investimenti in questo settore porteranno all’inevitabile fallimento di quanti si imbattono in una simile attività. Questa non è una interpretazione della LAV o del sottoscritto, è un dato di fatto. In Europa le istituzioni rappresentative stanno facendo propri i valori sociali, sempre più diffusi, di rispetto dell’integrità degli animali, e l’allevamento e l’uccisione di animali al solo scopo di farne pellicce è una attività che è già stata messa al bando in diversi paesi: Inghilterra, Irlanda del Nord, Scozia, Austria, Croazia, Bosnia, Danimarca (per ora solo per le volpi), e anche in Slovenia. Persino l’Olanda, che oggi costituisce il terzo paese al mondo produttore di pelli di visone con oltre 5 milioni di animali allevati all’anno e centinaia di allevamenti che rappresentano una concreta percentuale di PIL nazionale, ha approvato a dicembre 2012 il divieto di allevamento di animali “da pelliccia” che sarà vigente dal 2024; mentre il divieto di allevamento di chinchilla e volpi per la produzione di pellicce era già vigente dal 2008.

In Italia, dove ci sono solamente circa 15 allevamenti, è già stata presentata e assegnata alle commissioni referenti di Camera (C288) e Senato (Atto S62) la proposta di legge della LAV che introdurrà anche nel nostro paese il divieto di allevamento di animali “da pelliccia”. Il percorso di questa forma di allevamento è ormai segnato. Investire oggi in questa attività è pura follia. Gli allevatori ne sono consapevoli, ma sono certo che quando arriverà il momento di chiudere la baracca piangeranno miseria e chiederanno aiuti.

L’allevatore Moroni ha cercato di giustificare il comportamento dei suoi collaboratori come frutto di esasperazione e preoccupazione per la propria attività, per la tutela del proprio denaro che guadagna sulla pelle degli animali. Come se possa essere possibile dare una giustificazione ad una violenza. Una violenza è tale e va punita, non giustificata. Ma se questo è il pensiero dell’allevatore, allora potrà senz’altro comprendere le ragioni di chi mesi fa ha liberato i “suoi” animali, gesto altrettanto violento ma perlomeno non finalizzato al soddisfacimento di interessi economici personali, bensì di interessi diretti degli stessi individui senzienti liberati, gli animali.

Quando nel 2013 si decide di allevare animali per farne pellicce, non ci si può certo lamentare di diventare bersaglio di critiche dato che, da fonte Eurispes ‘Rapporto Italia 2011’, l’83% degli italiani disapprova tale pratica. Del resto anche le case da gioco sono una importante fonte di guadagno per chi le gestisce, ma sono queste attività economiche socialmente responsabili?

Simone Pavesi
Responsabile LAV – Campagna Pellicce

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