Cronaca

Digitale: 700 imprese e 2mila addetti Crescita, ecco l'identikit dei lavoratori I numeri in provincia

Più di 40mila imprese digitali in Lombardia, circa una su quattro del totale nazionale. Oltre la metà è concentrata a Milano (23.062 imprese, 55,4%). Seguono Brescia (4.505), Bergamo (3.083) e Monza e Brianza (2.991). Nel territorio cremonese sono circa 700. Un’impresa digitale su tre in Lombardia si occupa di attività di direzione aziendale e consulenza gestionale, quasi una su quattro nella produzione di software e attività informatiche e oltre una su cinque nel settore pubblicitario e delle ricerche di mercato. Superano ormai la quota di 800mila gli addetti delle imprese digitali italiane. Quasi uno su tre è lombardo (28,4%). Osservando il panorama regionale, tre addetti su quattro lavorano a Milano (21% del totale nazionale). Al secondo posto Brescia (13.157 addetti) e al terzo Bergamo (11.040). Nella provincia di Cremona sono ormai più di 2000. Numeri, questi, che emergono da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati registro imprese al I trimestre 2013.

LA RICERCA

Una ricerca su questo settore, promossa da ASSINTELdigitale, è stata presentata un paio di settimane fa a Milano. 230.000 è il numero dei soggetti censiti, di cui 173.000 sono a pieno titolo nuove imprese digitali e si muovono nei Servizi Web, Mobile e Internet of Things, nel Software e Big Data, nella Consulenza, nei nuovi Media sociali, nel Design, nelle Produzioni multimediali e nel Digital Entertaiment, nel Finance 2.0. Sono soprattutto piccole imprese di under 35. Negli anni della crisi crescono, nel 2013 il fatturato sarà in miglioramento o stabile per i tre quarti degli intervistati.

La ricerca è stata svolta nel mese di maggio 2013 per ASSINTELdigitale dallo Studio Giaccardi e Associati ed ha elaborato dati provenienti sia da un’indagine desk, sia da un campione qualitativo di 204 interviste.
Le imprese digitali sono piccole e medie imprese, con mediamente 17 collaboratori e un fatturato di 1.000.000 di euro. Ma il 44%, essendo giovanissime, si colloca sotto i 100.000 euro l’anno. Il 75% di esso è nel b2b e l’87% è generato in Italia.
Nel 2013 le previsioni sono controcorrente rispetto alla crisi: in crescita nel 68% dei casi e stabili per il 28%.
Il 63% è digital native, cioè è nata recentemente sui nuovi paradigmi digitali, ed è mossa in primo luogo da passione e incontri professionali precedenti; il restante 37% deriva da una evoluzione delle “vecchie” imprese IT. Per due terzi sono SRL, ma il modello organizzativo è per lo più “liquido”: il 60% delle imprese è infatti strutturato sul singolo processo/commessa ed è per lo più informale. Protagonista assoluto dell’organizzazione e della comunicazione interna è il web, vera piattaforma di collaborazione per l’85% di esse. Il 33% lo utilizza anche per vendere online.

L’identikit del lavoratore digitale: giovane (67% under 35, che sale al 72% nelle imprese native digitali), maschio (64%), laureato (il 65%) o addirittura con master/dottorato/PHD (12%), con esperienza lavorativa all’estero (29% nelle imprese digital native). Ma soprattutto con un contratto atipico per oltre un terzo di essi (CoCoPro e Partite IVA). Il cosiddetto posto fisso, a tempo indeterminato, resta predominante solo per le imprese tradizionali IT based, più grandi e organizzate, mentre è un non-luogo per quelle native digitali (solo il 26%): i costi dello Stato sul lavoro per le loro organizzazioni piccole e liquide sono troppo alti. In esse molto spesso il titolare è factotum e i carichi di lavoro diventano critici.

L’occupazione è in costante crescita: a fine 2012 sono oltre 620.000 gli addetti digitali, in crescita di quasi 75.000 unità (+13,7%) rispetto all’inizio della crisi nel 2009. Ma il dato più interessante è che ad essi si aggiunge oltre un altro terzo di professionisti atipici, cioè oltre 250.000 persone strutturali nei processi produttivi della nuova impresa digitale, che stimati attraverso l’indagine di campo.

Le maggiori criticità dichiarate dagli imprenditori? Ai primi posti il costo dello Stato sul lavoro, l’accesso al credito bancario e l’ancora scarsa disponibilità in Italia di investimenti privati. Ci sono poi i problemi di tipo organizzativo: troppo carico di lavoro su poche persone, mancanza sul mercato di competenze tecniche e manageriali adeguate, e parallelamente una scarsa offerta formativa adeguata alle loro esigenze.

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