Cronaca

Calunnia: per Bracchi reato prescritto, ma per la corte è colpevole

Nella foto, da sinistra Vanna Lazzarini, Simona Bracchi e Adriano Lazzarinetti

La corte d’appello di Brescia, su rinvio della Cassazione, in parziale riforma della sentenza emessa dal gup del tribunale di Cremona il 31 marzo del 2008, ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell’avvocato Simona Bracchi in relazione all’accusa di calunnia, essendo il reato estinto per intervenuta prescrizione. Ma per la corte, che ha confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado, la Bracchi è colpevole.

Assoluzione, invece, per Vanna Lazzarinetti, madre dell’avvocato Bracchi. Entrambe dovevano rispondere di calunnia nei confronti del ragionier Adriano Lazzarinetti, ex socio di studio del professor Italo Bracchi.

Questa la decisione della corte d’appello di Brescia dopo l’annullamento, da parte della Cassazione, della  sentenza di condanna emessa dall’appello che aveva confermato la sentenza di primo grado: dal gup di Cremona la Bracchi era stata condannata a due anni e otto mesi di reclusione, mentre la madre a due anni. Nell’annullare la sentenza, la Corte Suprema aveva disposto il rinvio davanti ad un’altra sezione della corte d’appello di Brescia.

Nel maggio del 2005 Simona Bracchi era stata convocata all’Agenzia delle entrate in quanto risultava evasore totale dal 1999 al 2004. Non aveva pagato le tasse e neppure la Cassa Forense per circa 500 mila euro. La Bracchi aveva querelato Lazzarinetti, accusandolo di essersi intascato i soldi per pagare le tasse. Denaro che a suo dire gli aveva consegnato sia in contanti che in assegni monetizzati in tabaccheria per il pagamento delle imposte. Da parte sua Lazzarinetti ha sempre sostenuto di non aver mai preso denaro dalla Bracchi ,“perché lei sapeva di non pagare le tasse”.

Nelle 56 pagine di motivazione della sentenza della corte d’appello, sulla posizione della Bracchi, il presidente Anna Maria Dalla Libera ha rilevato, “quanto ai fatti del 5 maggio del 2005”, che “è maturata la prescrizione del reato, essendo decorsi oltre sette anni e sei mesi dalla loro commissione”. Ma ha anche ricordato che, “secondo l’insegnamento del Supremo collegio, nella situazione in cui, nel giudizio d’impugnazione, si sia in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice, ‘essendo ancora pendente l’azione civile, il giudice penale è tenuto, quando accerti l’estinzione del reato per amnistia o prescrizione, ad esaminare il fondamento della medesima azione. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra, ed il giudice dell’impugnazione deve interamente verificare l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunciata dal primo giudice. Deve essere ritenuta l’esistenza di un principio inderogabile del processo penale, quello secondo cui la condanna al risarcimento o alle restituzioni può essere pronunciata solo se il giudice penale ritenga accertata la responsabilità penale dell’imputato, anche se l’estinzione del reato non gli consente di pronunciare condanna penale’”.

Nella motivazione, inoltre, la stessa presidente ha citato la sentenza di assoluzione emessa dal tribunale di Cremona per Lazzarinetti, difeso dagli avvocati Giovanni Benedini e Lapo Pasquetti, dal reato di appropriazione indebita, “assoluzione fondata sull’accertamento che quelle somme non sono mai state consegnate a Lazzarinetti (con la medesima sentenza Italo Bracchi è stato condannato per il reato di calunnia ai danni di Lazzarinetti)”. “Detta assoluzione”, definita nella motivazione della corte d’appello “intangibile”, “non è mai stata impugnata, né dal pubblico ministero, né dal procuratore generale, ma solo dalla parte civile Bracchi”.

“In definitiva”, si legge, “l’addossare ogni responsabilità al proprio commercialista appariva, nell’impossibilità di risolvere diversamente la situazione debitoria, l’unica prospettiva che assicurava alla Bracchi una (dignitosa) via d’uscita”.

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