Cronaca

Sequestro di persona e rivelazioni di segreto d'ufficio, poliziotti a giudizio

Sequestro di persona, violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici e rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Di questi reati, a vario titolo, sono accusati cinque agenti della polizia stradale di Crema, a processo davanti al collegio dei giudici del tribunale di Cremona. A giudizio anche un giornalista locale accusato di diffamazione. I fatti si sono svolti a Soresina l’11 settembre del 2012.

Per la procura, due degli agenti sarebbero responsabili di aver “abusato dei poteri inerenti le funzioni”, introducendosi e trattenendosi all’interno dell’abitazione di un giovane di Soresina “in assenza dell’autorizzazione del pubblico ministero, e senza che ricorressero motivi di particolare necessità ed urgenza”. Per l’accusa, i poliziotti si erano presentati nell’abitazione del 25enne, che viveva con la madre, e avrebbero effettuato una “sommaria perquisizione”, omettendo di informare sia il giovane che la madre dei diritti e delle facoltà previsti dalla legge e omettendo di redigere il verbale. A fare il nome del giovane soresinese ai poliziotti erano state due persone trovate in possesso di droga. Da qui la visita degli agenti nell’abitazione del ragazzo.

Altri cinque poliziotti di Crema sono accusati del reato di sequestro di persona: per la procura, avrebbero privato il giovane della libertà personale, “prelevandolo dalla sua abitazione di Soresina, conducendolo presso gli uffici della polizia stradale di Crema e trattenendolo per circa un’ora, ai fini dell’identificazione, senza che ricorressero i presupposti di legge e senza dare immediata notizia dell’accompagnamento al pubblico ministero”.

Due degli agenti, invece, avrebbero “omesso di riferire in merito all’ingresso nell’abitazione e alla sommaria perquisizione effettuata, attestando falsamente di aver atteso sotto casa per circa dieci minuti” sino a quando il giovane era sceso ed era stato “invitato” presso gli uffici di polizia.

Uno degli imputati è anche accusato di aver “rivelato” ad una giornalista locale “notizie di ufficio che avrebbero dovuto rimanere segrete, in particolare perché prima ancora di darne comunicazione alla procura informava la giornalista dell’operazione di polizia giudiziaria che aveva portato alla denuncia per spaccio di sostanze stupefacenti, riferendole indicazioni utili per l’individuazione del giovane e altri particolari della vicenda (il controllo di due cittadini egiziani presso i giardini pubblici, il rinvenimento su di loro di 0,7 grammi di eroina e 0,6 grammi di haschish e l’indicazione, da parte di uno dei soggetti controllati, dell’identità dello spacciatore)”.

Nel processo si è costituita parte civile la madre del giovane soresinese, morto suicida. Dopo la morte del figlio, pare proprio in seguito a questi fatti, la donna aveva sporto denuncia, facendo aprire l’indagine.

A processo è finito anche un giornalista locale accusato di diffamazione. Modificando il testo scritto dalla collega, avrebbe offeso la reputazione del 25enne, definendolo più volte ‘spacciatore’ “e scrivendo, contrariamente al vero, che presso l’abitazione del ragazzo gli agenti avevano rinvenuto ‘un discreto quantitativo di sostanze stupefacenti’”.

Gli imputati sono difesi dagli avvocati Massimiliano Cortellazzi, Massimo Martelli, Fulvio Pellegrino, Luigi Gritti, Roberta Manclossi e Marco Simone.

Per l’avvocato Massimiliano Cortellazzi, nell’abitazione del ragazzo non ci sarebbe stata alcuna perquisizione illegale. E per quanto riguarda l’accompagnamento in caserma, sarebbe stato proprio il giovane, che aveva appena venduto la sua macchina, a chiedere agli agenti di poter essere accompagnato sull’auto di servizio. La morte del soresinese, infine, non sarebbe in alcun modo collegabile ai fatti accaduti. Per la difesa, il 25enne si sarebbe tolto la vita perché rovinato dai debiti.

Il processo entrerà nel vivo il prossimo 4 giugno con i primi testimoni del pm.

Sara Pizzorni

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