Spettacolo

Si apre la stagione lirica 2013 a Parma

Andato in scena per la prima volta a Parma il 7 gennaio 1989 e ripreso nel corso del Festival Verdi 2011, torna ancora una volta in città per aprire la stagione lirica 2013 ‘Un ballo in maschera’ nello storico allestimento di Pier Luigi Samaritani. Il grande artista piemontese scomparso a Roma nel 1994 aveva firmato pure la regia dell’opera evidenziando comunque il proprio irresistibile talento soprattutto nella realizzazione delle scene dipinte, sempre contraddistinte da una reale fedeltà al testo e da un’attenzione privilegiata alla luce. Classe e cura di ogni dettaglio facevano parte del bagaglio di Samaritani e, in generale, improntano anche questa edizione per la quale il veneziano Massimo Gasparon ha ideato ex novo alcune ambientazioni, andate perdute, curando nel contempo la regia.
Nella serata della prima parmigiana del 12 gennaio la bacchetta è affidata a Massimo Zanetti, maestro di formazione milanese alla testa della nuova Filarmonica del Teatro Regio, compagine al suo debutto composta da musicisti scelti dopo accurate selezioni. La direzione appare equilibrata  e rivela un buon ritmo narrativo non disgiunto da un’attenzione costante ai numerosi dettagli della raffinata partitura.
Francesco Meli veste i panni di Riccardo, ma il tenore, pur evidenziando una voce elegante, mostra una certa fatica e non sembra del tutto adatto al ruolo affidatogli. Il canto dell’artista trova modo di emergere nel primo atto e nella romanza finale ma, in genere, mano a mano che si procede con l’opera, non è più in grado di svettare e denota limiti soprattutto nel registro grave oltre che nelle dinamiche del fraseggio. Amelia è la napoletana Anna Pirozzi, soprano con voce contrassegnata da alcune durezze negli acuti e da una povertà timbrica nei gravi, a partire dall’impegnativo ingresso in scena per il quale sono necessari mezzi vocali cospicui. La cantante fatica ad imprimere vigore ed emotività alla parte anche se riveste con una certa dignità il drammatico personaggio della protagonista femminile. L’Oscar di Serena Gamberoni risulta in genere convincente e privo della leziosità e petulanza di talune interpretazioni. Il baritono Luca Grassi (Renato) è penalizzato da un timbro non molto seducente e poco incline alle sfumature, ma è comunque corretto e risultano quindi ingenerosi i fischi riservatigli alla fine. Ulrica, Julia Gertseva, pur tentando di caratterizzare al meglio il personaggio, già dall’iniziale invocazione «Re dell’abisso» sino al «Della città», tradisce un certo disagio nel registro grave rivelandosi in definitiva un soprano, anziché un contralto, come richiesto da Verdi. A completamento del cast un buon Sergio Vitale (Silvano), Enrico Turco (Samuel), un discutibile Francesco Palmieri (Tom), Gian Marco Avellino (un giudice), Enrico Paolillo (un servo).
Attento il lavoro del coro preparato da Martino Faggiani, specie nell’individuazione del giusto colore del «Posa in pace» introduttivo e del «Cor sì grande e generoso» della scena finale.
Il dramma satiresco – per usare una felice espressione del grande critico musicale Teodoro Celli – consumatosi alle chiamate finali, non meriterebbe neppure un cenno. Ci riferiamo in particolare ai «buu» rivolti all’orchestra e al maestro Zanetti; non ne capiamo il motivo… o forse lo capiamo anche troppo e qui, per dirla con Oscar, «Più che abbastanza ho detto».

Paola Cirani

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