Cronaca

San Sigismondo, festa per cinque anni di clausura Priora: 'Ci sentiamo a casa'

Domenica 6 gennaio, giorno dell’Epifania, al monastero domenicano di San Sigismondo a Cremona si festeggerà il quinto anniversario della posa della clausura papale che sancì ufficialmente l’inizio dell’esperienza monastica a Cremona, dopo il trasferimento della comunità da Fontanellato. Alle 11 il cappellano, don Daniele Piazzi, presiederà la S. Messa solenne conventuale, mentre alle 17 il vescovo Lafranconi guiderà la preghiera dei Secondi Vespri. Ecco l’intervista alla priora, madre Caterina Aliani, dal sito della Diocesi.

Madre Caterina domenica 6 gennaio festeggerete il quinto anniversario della posa della clausura papale. Di che cosa si tratta?

«È per noi un giorno di rendimento di grazie a Dio che attraverso la Chiesa, nella persona del nostro Vescovo, in quel 6 gennaio 2008 ha benedetto la nostra forma di vita claustrale inserendoci a pieno titolo nella comunità ecclesiale di Cremona. San Sigismondo è tornato ad essere una casa di vita monastica, una casa di preghiera, di vita fraterna secondo il Vangelo, resa casa di pace».

Ormai il periodo di rodaggio nella nostra diocesi è finito da un pezzo. Come vi trovate a Cremona?

«Ormai ci sentiamo di casa a Cremona, grazie alla premurosa attenzione di molti, ci troviamo pienamente a nostro agio: abbiamo una chiesa stupenda in cui vivere la nostra Liturgia. E non solo, è una chiesa nata per una comunità monastica per cui tutto in essa aiuta a pregare: il silenzio della sua ubicazione, l’arte, la disposizione del coro … E poi ci sono i cremonesi! Così premurosi e discreti, silenziosi quasi come le monache, che ci vengono in aiuto in molti modi. A tutti va il nostro grazie fatto di preghiera e di condivisione dei meriti spirituali della nostra vocazione».

Sono molte le persone che bussano alla vostra porta?

«Ci sono più persone che vengono al monastero, e nessuno per caso o per cose banali. Chi viene, sa che bussa a una casa di preghiera, sa che noi non abbiamo né oro né argento da donare, ma il nostro ascolto, la nostra serenità fondata sulla fede, il nostro incoraggiamento intriso di speranza, a volte anche il nostro consiglio… Vengono spesso in forma anonima, a volte già legati da conoscenza e amicizia. Gli incontri sono regolati dal nostro orario scandito dalla preghiera, sono brevi e cordiali, sono il pizzico di lievito della presenza di Cristo che si mescola nella storia quotidiana di coloro che spesso hanno croci pesanti da portare e per le quali chiedono aiuto. Di lacrime ne raccogliamo tante, ma a tutti vorremmo ricordare che sono molto amati dal Signore e che su di Lui possono sempre contare».

Nel vostro parlatorio entrano anche tanti bambini e fanciulli per testimonianze o ritiri spirituali. Quale degli aspetti della vita monastica stupisce di più questi ragazzi?

«Come comunità non organizziamo incontri o ritiri spirituali… Crediamo non sia questo il servizio specifico che un monastero è chiamato a prestare alla Chiesa. Tuttavia se qualche gruppetto chiede una testimonianza, o vuol conoscere la nostra esperienza di vita, lo si fa con semplicità, sobrietà, quasi un aiuto a meglio comprendere la nostra vocazione ecclesiale, spesso un po’ misteriosa per molti. Facciamo in modo che questa accoglienza non vada mai a scapito della nostra preghiera e del silenzio che abitualmente avvolge la nostra giornata. Per questo i gruppi prima concordano con noi data e orario della visita e spesso si programma l’incontro in modo che chi viene in parlatorio per un dialogo, venga poi anche a pregare una parte dell’Ufficio Divino con la Comunità. Ciò che colpisce di più i ragazzi è il clima di silenzio e di pace che li accoglie e poi avvolge. Sulle prime sono un po’ “rigidi”, poi li vediamo entrare in sintonia con noi e starci bene. Inoltre li colpisce la nostra gioia. I più grandi su questo punto restano molto pensosi».

Oltre alla preghiera che occupa buona parte della vostra giornata, come trascorrete il tempo?

«Oltre le 6 ore di preghiera quotidiana, abbiamo tempi di studio e di lavoro, di condivisione fraterna e … ovviamente di riposo! Tutto è sapientemente regolato, alternato, ben suddiviso in modo da strutturare una vita bella, ordinata, armonica, dove Cristo è sempre il centro, e l’impegno di tutte è quello di edificare con Lui una vera vita fraterna, quella vita evangelica che gli annunciatori della Buona Novella vanno predicando».

Ci sono ragazze che si interrogano su una loro possibile chiamata alla vita claustrale? Che percorso proponete loro? Ne avete avute?

«La nostra vita esercita un fascino particolare al di là che poi si verifichi una vera vocazione o meno. Ci sono ragazze che si accostano a noi e chiedono di saperne di più… Si propone loro dapprima un cammino di vera vita cristiana là dove vivono; di reciproca conoscenza ed eventualmente di brevi esperienze con noi, ma tutto con molta calma e discernimento. Le scelte importanti vanno ben ponderate. Se ci sono i segni di una vera vocazione alla nostra forma di vita claustrale, si accolgono per una verifica più dettagliata. Da quando siamo a Cremona ne abbiamo seguito diverse, ma per ora nessuna si è rivelata idonea».

Da pochi giorni la vostra comunità ha accolto una monaca proveniente dal monastero domenicano di Bologna. Come mai questo trasferimento?

«A Bologna nel 1223 sorse uno dei primi monasteri domenicani italiani voluto tenacemente da San Domenico, anche se la morte lo colse prima del suo compimento e il suo progetto poté essere realizzato solo dal suo successore, il Beato Giordano di Sassonia. In questi ultimi decenni, purtroppo, la mancanza di vocazioni ha ridotto il numero di quelle monache a tal punto da non poter più espletare una vera vita domenicana claustrale. Ora, le ultime sorelle, saggiamente hanno scelto di chiedere la soppressione del loro Monastero per andare in comunità più fiorenti e numerose. Una verrà con noi. Il Santo Padre Domenico non potrà non benedirci ulteriormente».

C’è chi non comprende la vostra scelta e preferirebbe vedervi fuori dal monastero a soccorrere i bisognosi. Come rispondete?

«Tutti siamo chiamati a donare la nostra vita per gli altri: le modalità sono tante. Anche noi siamo state chiamate da Dio a farci carico dei fratelli sul versante della fede, della lode da rendere al Signore, soprattutto dell’annuncio del Vangelo, la Buona Novella, per mezzo della testimonianza della nostra vita. Un monastero domenicano è una casa della “Santa Predicazione”: tutto qui parla di Dio, del suo Amore misericordioso, dei suoi pensieri di pace, della sua volontà di salvezza di tutto il genere umano. Può essere anche un sevizio non compreso e non apprezzato perché non è visibile e palpabile. Tuttavia è estremamente reale, prova ne è il fatto che dove viene a mancare la presenza della vita contemplativa lo si avverte: esserci o non esserci non è la stessa cosa».

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