Cronaca

Le osterie di una volta Un luogo laico di scambi tra vino, piatti e moda

Nel libro che sto scrivendo, “Cremona ed il suo vino”, un capitolo sarà dedicato alle osterie. In particolare, in questo articolo, sarà commentato un documento del 27 novembre 1669, recante provvedimenti per gli osti cremonesi.

Prima di entrare nel merito dell’analisi del documento, mi pare giusto effettuare alcune premesse.

Le osterie per secoli furono un luogo laico di socializzazione e di scambi di conoscenze. Le osterie significarono, genericamente, il luogo dove a pagamento, veniva offerto vitto, alloggio e stallatico. In esse sostavano viaggiatori, pellegrini ed a volte avventurieri e banditi. Le osterie erano spesso teatro d’incontro, di vicende tragiche e comiche, in esse circolavano le notizie circa fatti avvenuti vicino e lontano. Attorno ad esse ruotavano ballerine,artisti,meretrici ed accattoni.

A Cremona, nelle osterie si beveva il vino locale in boccali di peltro, od in ciotole di ceramica invetriata. Molto raramente si disponeva di vini di importazione dai territori limitrofi. Il vino offerto era rosso, corposo, tannico e dal profumo vinoso, ottenuto da uve rosse nostrane. Si poteva bere anche aggiungendo una piccola quantità di miele per addolcirlo ed ammorbidirlo. Questo tipo di vino era salutare per far fronte alle condizioni igienico – sanitarie in cui allora si viveva.

Spiego il perché: in Città erano endemici il colera, il tifo e ogni tanto compariva la peste, l’ultima molto grave era comparsa nel 1630,così ben descritta dal Manzoni. Ebbene il vino si dimostrava essere una potente barriera contro le infezioni, ma, allora, non si conosceva il motivo. Fu, infatti, solo nel 1892, che il medico austriaco Alois Pick dimostrò che l’acqua inquinata da vibrioni di colera, può essere bevuta senza pericolo se è rimasta a contatto per almeno cinque minuti con 1/3 di vino. Azione analoga ha il vino sul bacillo di Eberth (del tifo), sui colibacilli, sulle salmonella, sui batteri della dissenteria e su quelli del paratifo di tipo A e B. Sappiamo oggi che nel vino è presente un polifenolo (molecola della componente colorante del vino) ad azione antibiotica: Il malvidolo. Tale sostanza che si trova nelle uve sotto forma inattiva e combinata ad uno zucchero, con la vinificazione e l’invecchiamento, viene trasformata ed attivata. Il malvidolo, da un punto di vista antisettico, si mostra 33 volte più attivo del fenolo. Ai polifenoli appartiene anche un composto detto resveratrolo, proveniente dalla buccia dell’uva a cui è attribuita un’azione antiossidante superiore a quella della vitamina C e della vitamina E. Il resveratrolo possiede inoltre  un’azione antinfiammatoria e antitumorale ed è un fluidificante del sangue: esso può rallentare l’insorgenza di placche trombotiche che ostacolano il flusso ematico vascolare. Vi ricordo che in certi momenti ,ancora oggi, è provvidenziale un bel vin brulé.

A secondo della stagione gli osti ci tenevano ad essere rinomati presso la clientela per i loro piatti. Qui, di seguito, desidero dare un elenco di portate che, allora andavano per la maggiore, e che giornalmente si potevano trovare nelle osterie. Ovviamente l’oste preparava quotidianamente uno, massimo due, dei piatti succulenti che sono qui sotto menzionati.

– Piccioni lessati ripieni di aromi e verdure dell’orto,serviti su fette di pane abbrustolito con midollo di “Cascio di Parma” (parmigiano)

– Braciole di vitella battute servite con salsa reale.

– Fegatelli di capretto avvolti in rete di maiale e cotti allo spiedo.

– Capretto in fricassea con salvia fritta.

– Uccelletti allo spiedo .

– Cappone lessato coperto di sedano.

– Pasticcio brodoso con vitella battuta.

– Bocconcini di mammella di vitella.

– Testine di capretto contornate con fritelline di sambuco.

– Polpettone di vitello con pinoli e noci.

– Quaglie allo spiedo in crosta di pasta sfoglia

– Galletto lardato arrosto con salsa di uva e melegrane.

– Rognonata di vitello lardato

– Pesce di fiume infarinato e fritto in olio di noci o lessato in acqua ed alloro

Come contorni venivano servite insalate di bietole rosse,cicoria,fagioli,fave e carote. La frutta era quella di stagione.

La cottura dei cibi era spesso eseguita in un grande camino a muro, utilizzando legna per fare la brace. Le operazioni di preparazione erano fatte a vista, così gli ospiti si inebriavano di profumi ed aromi. La cenere pulita, raffreddata e setacciata, fatta bollire con cinque parti di acqua piovana e filtrata con un telo, sarebbe poi servita per produrre la liscivia, necessaria per fare bucato.

Non dobbiamo pensare che la città di Cremona della fine del XVII secolo fosse un ambiente particolarmente accogliente e con l’aria buona. Tranne i collettori principali, le fognature erano, perlopiù a cielo aperto. Era poi consuetudine degli abitanti, versare liquidi e liquami sulla pubblica via. A questo vanno aggiunte le deiezioni degli animali, e le stalle per i medesimi. Per completare la scenografia va detto poi che non esisteva l’acqua corrente per la pulizia personale,ed i servizi igienici erano fatiscenti.  Ne consegue che i cittadini si lavavano molto raramente e quindi avevano odori corporali poco gradevoli. Inoltre, il sapone non era facilmente reperibile, e d’inverno l’acqua  per la pulizia personale,che poteva essere contenuta in una secchia di legno, spesso ghiacciava in superficie.

Questo stato di cose, spiega la necessità di utilizzare l’incenso in Chiesa. Oltre onorare Dio, si profumava l’ambiente e si disinfettava l’aria.

In mancanza del sapone, si poteva far uso di rondelle secche di radice di saponaria che è una pianta pluriennale della famiglia del garofano, contenente sostanze detergenti e medicinali, dette saponine. I medici arabi la consigliavano per curare la lebbra e le dermatiti.

Le donne e gli uomini ,quando era possibile, usavano dei profumi fatti in casa, mettendo le radici,i petali e le foglie profumate sminuzzate in un sacchetto di lino. Esso veniva immerso in un recipiente contenente una sospensione al 50% di acqua piovana ed olio. Gli oli essenziali rilasciati dal materiale vegetale si mescolavano con l’olio che galleggiava sull’acqua. Si lasciava evaporare l’acqua e l’olio profumato veniva filtrato.

Per animare la nostra scenografia mi sembra giusto fare un accenno a com’era la moda nella Cremona degli anni settanta del 1600.

I tessuti utilizzati per confezionare abiti erano il lino, la mussola, il cotone, il velluto, la lana. Molto raramente, per l’alto costo, la seta ed il broccato. I colori erano scuri dal viola, al marrone, al granata, al verde, al blu.

I nostri concittadini uomini, indossavano un giubbino chiamato “farsetto” chiuso sul davanti da una fila di bottoni. Portavano dei calzoni voluminosi,fissati al ginocchio con nastri,calze bianche,ma anche colorate con scarpe dotate di tacco, fibbia e nastri. Fondamentale accessori degli abiti erano il colletto di pizzo pieghettato ed inamidato chiamato “gorgiera” ed i polsini merlettati. Il mantello poteva avere misure diverse a secondo della stagione.

Le donne, indossavano un busto rigido con maniche gonfie e con attacco a palloncino. Le gonne erano ampie e, per i vestiti più completi, erano dotate di “verdugale” che era una gabbia di cerchi concentrici che si ampliava dal girovita verso terra,e su cui appoggiava il tessuto della gonna. Il corpetto possedeva scollatura a barchetta completate da colletti di pizzo rigido a gorgiera. I polsini erano di merletto. Sui capelli raccolti morbidamente si poggiavano leggere cuffie bianche di lino o di batista,spesso ornate di pizzi. Sotto le gonne mutandoni lunghi fino al ginocchio, con calze colorate sostenute da giarrettiere, Le scarpe potevano essere di pelle o di velluto ornate da nastri e con tacchi piuttosto alti.

Prendiamo in esame ora il nostro documento. Si tratta di un provvedimento che riporta, nella prima parte, la petizione del Console della Corporazione degli Osti e Bettolinieri della città di Cremona e nella seconda le disposizioni che l’Autorità impartisce per assecondare la richiesta. Quindi in un unico documento, per facilitare la consultazione , si trovano: domanda e risposta

Vediamo il documento, il cui originale è conservato presso l’Archivio di Stato di Cremona

Eccellentissimo Signore

Sopra memoriale degli Hosti,e Bettolinieri della Città di Milano, e suoi Corpi Santi sporto all’Eccelso Consiglio Secreto mentre governava questo Stato, per la morte del fù Sig Marchese di Mortara,fu fatto il Decreto del tenore inchiuso. E perché li Osti della Città di Cremona patiscono anch’essi molti disturbi, e soggettioni per l’alloggio de forestieri, che in quella, benché di rado,capitano,a causa delle Gride publicate d’ordine delli S.S.( Serenissimi) Antecessori di V.E. (Vostra Eccellenza) in specie del Sig. Conte di Sirvela e Don Luigi Ponze de Leon. Perciò, militando a favore dei Supplicanti le stesse ragioni rappresentate dalli Osti di Milano,anzi maggiori,hà determinato il Console delle Università delli detti Osti di Cremona humilissimo servitore dell’Ecc. Vostra à quella far raccorso.

Humilmente supplicandola restar servita concedere a favore de Supplicanti il medemo resta concesso nell’incluso Decreto,à favore delli Osti di Milano,non ostante le di sopra accennate Gride, e qualsivoglia altra, che si trovasse sopra di ciò pubblicata d’ordine de S.S. Governatori dello Stato; Ordinando al Sig. Senatore Podestà di Cremona, ò suo Luogo Tenente, che per causa di dette, e simili Gride, non molesti nell’avvenire detti Osti, Con che però essi mandino le consegne, conforme il solito, il che è

1669.  27 Novembre.

Sua Eccellenza ( inherendo al Decreto dato dal Consiglio Secreto à 4 Genaro passato à favore degli Osti di Milano ) Incarica al Senatore Podestà di Cremona, che non permetta veruna molestia alli Osti della detta Città dal suo Giudice ne d’altri Ministri, Officiali,o Baricelli, per l’alloggiamento de forastieri nelle loro Osterie, mà che li lascino quietamente vivere di giorno,e di notte, ne li sturbino per causa di alloggiamenti, lasciandoli, con la sola obligatione di portare la notta, ò sii consegna di detti forastieri  al detto Podestà di Cremona, o suo Giudice, descrivendo in essa li nomi, cognomi, patria e armi, che seco havranno

Serpontus.

Luogo       del Sigillo

Segue ora l’analisi del documento :

In primis, va rilevato che non si conosce il nome del Console di Cremona rappresentante gli Osti ed i Bettolinieri della Città. Dal testo si comprende però che doveva essere asfissiante il controllo delle Autorità, le quali applicavano le Grida dei vari Governatori che si erano succeduti, rasentando il sopruso e la vessazione. Già per la Città di Milano,il 4 gennaio del 1669 e cioè 10 mesi prima, l’Autorità (Consiglio Segreto ), interpellata dal Console degli Osti di Milano, aveva dato disposizioni perché quegli osti fossero lasciati lavorare in pace, e quindi, tardivamente informato, il Console di Cremona chiede che analogo trattamento fosse esteso anche agli Osti della sua Città.

Non può sfuggire una affermazione che, per il Console di Cremona, rappresenta un’aggravante per le condizioni degli osti e bettolinieri cremonesi, quando dice: “…patiscano anch’essi molti disturbi, e soggettioni per l’alloggio dei forastieri, che in quella, benché di rado, capitano…..” Anche allora , quindi, Cremona aveva molte difficoltà ad essere appetibile per chi veniva da fuori. Desidero quindi, in questa sede, fare un invito ai Responsabili dell’Amministrazione cremonese affinché perseverino, con opportune iniziative, a curare questo cronico ed atavico male.

Vediamo ora i personaggi noti che ruotano attorno al documento:

1)  Sua Eccellenza, non è menzionato come deliberante, ma sappiamo che si trattava di Don Paolo Spinola Doria, Marchese de Los Balbases, al suo secondo mandato di Governatore (1669 – 1670)

2)  Il 4 gennaio 1669, per la morte del Governatore, Don Francisco de Orozco, Marchese di Olias, Mortara e San Reale  (1668 – 1668), il Decreto era stato emesso dal Consiglio Segreto che, in caso di mancanza del Governatore, governava ad interim il Ducato.

3)  Il Consiglio Segreto,avendone facoltà, aveva reinterpretato,ammorbidendone le condizioni, le Grida inerenti gli osti, dei precedenti Serenissimi Governatori,ed in particolare:

–  Don Juan de Velasco de La Cueva y Pacheco,Conte di Sirvela, che aveva governato il Ducato di Milano dal 1641 al 1643.

–  Don Luis de Guzman Ponce de Leon,Gentiluomo di Camera di S.M.,Capitano della Guardia Spagnola, che fu Governatore del Ducato dal 1662 al 1668. Morì il 29 marzo 1668,quando era in carica e trovò sepoltura nella Chiesa di Santa Maria alla Scala.

4)  Anche se non menzionato, regnava su tutti da Madrid, Filippo IV , Re di Spagna.

Era, dunque, il 27 novembre 1669, l’anno stava per finire, proprio in quei giorni il giovane Antonio Stradivari, nella sua bottega nei pressi della Chiesa di San Domenico (attuali Giardini pubblici), stava ultimando, tra tormento ed estasi, il suo primo violino, poi passato alla storia come “Il Tullaye” dal nome della Viscontessa de la Tullaye che nel 1897 lo aveva posto in vendita.

Anno magico quel 1669, in primavera, l’abate benedettino Dom Pierre Pèrignon, aveva potuto vedere per la prima volta la spuma uscire dalle bottiglie del vino che aveva preparato l’anno prima, risolvendo il suo problema tecnico, sostituendo cioè i tappi di paglia e pece con quelli di corteccia di sughero che gli avevano inviato i suoi confratelli spagnoli. I tappi di sughero, fissati all’imboccatura della bottiglia con lo spago, garantivano una tenuta perfetta.

Gli osti ed i bettolinieri della città di Cremona continuarono ad essere disturbati nelle loro attività.

Carlo Bertolini
Agronomo & Enologo

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