Cronaca

Primarie Centrosinistra, il giorno delle scelte

Primarie centrosinistra, ci siamo. E’ arrivato il giorno delle scelte. Dopo una vigilia di polemiche e orticarie. Alle 20 i seggi chiuderanno bottega. E comincerà la conta. Due o tre cose però bisogna pur dirle prima dei verdetti e dei regolamenti di conti che seguiranno.

1) Non è scritto da nessuna parte che leader si diventi con questa americanata. Voglio dire: o si nasce col carisma del capo o si diventa un’altra cosa. Togliatti “Il più Migliore” (così lo chiamava Giovannino Guareschi) il carisma lo aveva. Da vendere. Idem, tanto per restare in geografia, Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, il politico che chiamavano “il pesce rosso nell’acquasantiera” o “il comunistello di sacrestia” come diceva il cardinal Ottaviani; ma, vivaddio, bastava la sua presenza per suscitare brividi blu. I due, per intenderci, non sarebbero mai andati davanti ai leggii in plexiglass di SkyTg24 ed obbedire ad un moderatore che dava il tempo come il vecchio Casadei. Sapevano accontentarsi dei congressi di partito, caciaroni finchè volete, ma italiani. Non americani.

2) Occhio ai risultati. Tira aria di sorprese. Queste lotterie si sa come cominciano, non come finiscono. A Milano la mal digerita candidatura di Stefano Boeri ha favorito il trionfo di Pisapia. A Cagliari la “pallida figura indicata dal Pd” (Manfellotto sull’Espresso) ha lasciato spazio al giovane Massimo Zedda, pupillo del parolaio Nichi Vendola, l’acchiappa-nuvole. A Napoli c’erano faide interne e ruggini di vecchia data ed ha vinto l’outsider Giggino De Magistris, il pm ammazza-Prodi che ha pure messo alla gogna il povero Mastella (poi prosciolto). A Genova la Marta Vincenzi ha ceduto il passo al giovane Marco Doria, trovata di don Gallo e il solito governatore di Bari. E mi fermo qui. Con una regola d’oro: mai sottovalutare l’avversario, nemmeno se è del tuo partito. Nemmeno se si chiama Matteo Renzi.

3) A proposito: il Rottamatore uscito trionfante (con claque) dalla festa nazionale del Pd di Reggio Emilia al grido “via i vecchi” e “meno soldi ai politici”, un merito ce l’ha: ha rivitalizzato il suo partito con l’afflusso di nuove idee, gli ha restituito una centralità mediatica (e Bersani venerdi addirittura voleva il Tg 1 tutto per sé, ma gli avversari sono insorti), ha ridefinito le correnti e gli assetti di potere interni. D’ora innanzi ci si distinguerà per aver sostenuto Renzi o Bersani. Il resto è ciccia. L’essere stati veltroniani o bindiani, dalemiani o mariniani, non avrà alcun senso identificativo. Il ciclone Matteo è stato – ed è – uno choc benefico per l’intero partito.

4) Come finirà? D’accordo, se nessuno dei cinque sfidanti otterrà il 50 per cento dei voti, si andrà al ballottaggio tra i primi due classificati. E sarebbero rogne. I sondaggi dicono che i primi due saranno Bersani e Renzi; ma anche che Pier Luigi potrebbe farcela al primo giro. Vedremo. Il punto, secondo me, è un altro. Il punto è il “dopo” in un Paese in cui la crisi galoppa, i salari e i consumi sono al palo, le famiglie sono in trincea contro il caro prezzi, la disoccupazione vola, il 41,9% dei giovani under 34 vive ancora con i genitori. Ed allora nulla vieta di paragonare il confronto fra Renzi e Bersani a quel che è accaduto in America tra Hillary Clinton e Barak Obama per la conquista della candidatura democratica, quattro anni fa. All’epoca tutti strillavano: questa corrida tra i due, dicevano, porterà il partito alla rovina. Sappiamo come è andata: la grande mobilitazione che ne derivò favorì la vittoria di Obama. Certo in Italia lo scenario (e le regole) sono diverse. Ma se il fossato tra i due si restringe, se lo sfdidante viene percepito come un innovatore e non come un usurpatore, queste primarie non saranno arrivate invano.

Enrico Pirondini

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