Cronaca

Da Re Carlo ai vini naturali

“Re Carlo tornava dalla guerra…” così dice una nota canzone di Fabrizio De Andrè. Ebbene sì, Carlo VIII che sognava una sua crociata e la riconquista di Gerusalemme, pensò di annettersi il Regno di Napoli, strappandolo agli Aragonesi, così da poter disporre di una base operativa per la sua crociata in Terra santa. Alla fine di agosto del 1494, entrò in Italia con direzione Napoli, al comando di un esercito rinforzato da un grosso contingente  di mercenari svizzeri ed italiani e la prima formazione di artiglieria pesante ippotrainata, mai vista in Italia.

Il 22 febbraio 1495, il Re francese entrò in Napoli, praticamente senza incontrare opposizione alcuna da parte degli Aragonesi. Questa facilità di conquista scioccò gli italiani e politicamente contribuì a diffondere in Europa l’idea che l’Italia era incredibilmente ricca e facilmente conquistabile perché divisa e difesa solo da mercenari. In questa circostanza,però,gli italiani reagirono: il Duca di Milano ed i veneziani, il 31 marzo si riunirono in una Lega Santa Antifrancese appoggiata da Papa Alessandro VI, Ferdinando II di Aragona Re di Spagna,il Re inglese e Massimiliano I d’Austria. Al comando della Lega fu posto Francesco II Gonzaga.

Dopo la conquista incruenta di Napoli, il 20 maggio 1495, Carlo abbandonava la città, lasciandovi un presidio, e prendeva la via del ritorno in Francia. Durante la permanenza a Napoli, l’Esercito francese era stato colpito da un misterioso morbo, identificato in seguito come sifilide,che era originaria dell’America,scoperta tre anni prima. Sulla  strada del ritorno, quei sciagurati soldati diffusero il morbo nel nord Italia ed alla fine in tutta l’Europa. La malattia venne quindi conosciuta come “Mal francese”.

Il 27 giugno i Veneziani con i loro Collegati stabilirono il campo vicino a Fornovo sul Taro. L’esercito della Lega Santa era forte di circa 20.000 uomini tra cavalleria pesante, cavalleria leggera e fanteria armata di picche od archibugi. Vi erano inoltre 300 balestrieri scozzesi e 2.000 Stradioti, mercenari greco – albanesi. L’esercito della Lega era schierato sul lato destro del fiume.

Quando, scendendo dal Passo della Cisa, sulla Via Franchigena,si presentò l’esercito francese,forte di 10.000 uomini, lo scontro fu inevitabile. Nel pomeriggio del giorno 6 luglio iniziò la battaglia. I francesi sul lato sinistro del Taro non potevano avanzare perché la cavalleria pesante della Lega, attraversato il fiume Taro, aveva sbarrato la strada verso la Pianura padana. Essi non potevano neppure arretrare in quanto la cavalleria leggera veneta ed i mercenari greco – albanesi avevano guadato il fiume per bloccare ai francesi la ritirata verso sud. Nel tardo pomeriggio, i francesi arretrarono ad ovest di Fornovo risalendo una collina a forma di “panettone”, anche per essere fuori della portata di tiro dell’artiglieria dei Collegati. Gli uomini di Re Carlo non avevano potuto, invece, utilizzare la loro artiglieria, in quanto, nella notte tra il 5 ed il 6 luglio, era piovuto appesantendo il terreno e compromettendo le possibilità di manovra. Verso sera, i mercenari Stradioti , con l’appoggio della cavalleria milanese, riuscirono a catturare e far bottino del tesoro di Re Carlo, che consisteva in ben 300.000 ducati d’oro e varie casse di oggetti preziosi. Re Carlo perse inoltre il suo elmo, due bandiere reali e fu inconsolabile per la perdita della sua raccolta personale di disegni erotici. In quel pomeriggio perirono 1.000 francesi e 2.000 Collegati.

La cattura del tesoro reale, allentò la pressione militare, disorientò i Collegati, per cui Re Carlo, perso il bottino,le salmerie e parte dell’artiglieria, si sganciò e si ritirò verso Asti e da lì, il 25 ottobre, giunse a Grenoble, in Francia.

Oggi domenica mattina 4 novembre 2012 ,in una giornata piovosa e grigia, sto uscendo dal ponte sul Taro per recarmi a Fornovo. Eccolo lì sulla sinistra, velato da una nuvola bassa, il “panettone verde” dove si misero al sicuro, arretrando, i francesi con il loro Re, poco sotto il Taro che scorre limaccioso tra isole bianche di ghiaia.

Carlo VIII a Fornovo aveva perso il suo bottino, oggi, io sono qui sulle tracce di uno nuovo tesoro.

Sono stato invitato a Fornovo sul Taro dall’amico vignaiolo Cristiano Guttarolo e dalla sua dolcissima Annalisa per poter visitare il “Salone Vini di Vignaioli 2012” giunto alla sua XI edizione. Il Salone è una creatura di Marie Christine Cogez Marzani, nata a Parigi, formazione in Sociologia presso l’Université Paris 8 Vincennes.

Forte dell’esperienza della conduzione di un Ristorante a Parigi, è riuscita a catalizzare vignaioli italiani, francesi e sloveni attorno ad una idea semplice e grande: produrre dei vini naturali, in termini attuali chiamati biodinamici, allo scopo di fornire al consumatore un prodotto sano e caratteristico. Presupposto per conseguire tale scopo è l’applicazione di una serie di scelte, tra cui quelle che il lavoro in campagna, quello in cantina ed il contatto con i consumatori sia svolto direttamente dal vignaiolo, che ha, fra l’altro, come imperativo morale non procrastinabile, la tutela dell’ambiente e l’agricoltura ecosostenibile. In campagna non si potranno usare: erbicidi, pesticidi e concimi chimici. Per il trattamento anticrittogamico si potrà usare il solo solfato di rame, usato in quantità minime (4 Kg/ha. anno) come disinfettante. Questi viticoltori si impegnano al recupero di antichi vitigni autoctoni ed antichi metodi di conservazione del vino come ad esempio l’uso di anfore di terracotta durante la prima fase dell’affinamento. La conservazione in anfore era diffuso in Georgia, antica patria del vino e presso i Romani. Ho notizia che nel 1996 fu rinvenuto interrato in località Sorino, vicino a Broni (PV) un enorme dolio in terracotta del V secolo d.C. con una capacità di 2.000 litri,oggi conservato nel museo di Casteggio (PV)

In cantina, nei vini, si potrà usare come antiossidante, l’anidride solforosa in quantità molto bassa (Massimo 60 mg/ltr per la frazione totale e di 15 mg/ltr per quella libera). Per la fermentazione si devono usare lieviti autoctoni provenienti dai vigneti aziendali, si può filtrare con farina fossile di diatomea ma non si può pastorizzare. I vini prodotti hanno la loro individualità. In ogni annata si producono vini con sfumature diverse, a secondo dell’andamento climatico. Un particolare riguardo viene poi dato alla pulizia ed all’igiene in cantina, tenendo presente che l’igiene è fondamentale per ottenere un prodotto di qualità. I prodotti per la pulizia ammessi sono quelli previsti dal  Reg. CEE 2092 /91.

Entro finalmente nel Salone dove i Vignaioli, ognuno al suo banchetto, ricevono personalmente gli ospiti, proponendo le storie, le esperienze che ruotano attorno ai loro preziosi vini. Commentano con orgoglio ciò che propongono. Ogni ospite all’ingresso è stato dotato di un bel calice che serve per le degustazioni. E così in un ambiente simpatico ed informale si assiste ad una socializzazione che ha come base il vino ed i suoi territori.

Mi incontro con la Direttrice: Madame Christine; i vignaioli sono di diverse Regioni, sono più di 100, tutti mossi dal desiderio di voler riequilibrare la natura, riportandola a prima che l’uomo intervenisse introducendo l’agricoltura industriale. Intendendo con questo termine un’agricoltura che ha perseguito bassi costi e grandi rese, in una spirale senza fine nella quale ad una produttività sempre maggiore corrispondeva  un continuo incremento nell’utilizzo di prodotti di derivazione chimica (concimi, insetticidi, diserbanti) mentre le consuete tecniche di coltivazione venivano stravolte.

L’agricoltura tradizionale è stata soppiantata e quasi dimenticata, si sono impoveriti i terreni che per generazioni gli agricoltori avevano reso fertili. L’agricoltura industriale in effetti, ha prodotto pesanti impatti sull’ambiente e sulla salute, ha prodotto senza rispetto degli equilibri eco – biologici, senza tener conto della qualità dei frutti della terra e senza curare che il nutrimento prodotto fosse di piena qualità per l’uomo e la sua salute.

Condivido pienamente l’azione di Marie Christine e del suo apostolato tecnico – culturale verso i suoi viticoltori, che visita e motiva personalmente e a cui invia le schede tecniche da compilare, sovraintendendo poi al controllo qualità dei vini naturali prodotti.

Bene, è stata utile questa visita, mi sento più ricco, ho imparato qualcosa di nuovo. Quando, sulla via del ritorno, con la mia auto mi avvicino al ponte sul Taro, penso a Re Carlo, ma dove si trovava? Forse là in fondo prima della curva… senza più il suo tesoro… i suoi disegni cochons… il suo elmo. Forse avrà pianto… Quando si sarà lasciato alle spalle Fornovo, certamente era incupito…. a differenza di me  che mi chiamo Carlo, non sono un re, ma lascio Fornovo lieto, con i ricordi dei vini naturali assaggiati: un calice di nosiola trentina, uno di negramaro affinato in anfora, uno di dolcetto, una ribolla gialla splendida, accompagnata da una dozzina di ostriche “Papillon” che sapevano di Atlantico… e di Francia.

Carlo Bertolini
Agronomo & Enologo

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