Processo Tamoil: il Ministero dà buca, costituite altre quattro parti civili Uno dei reati ambientali sussiste ancora
Non c’era il Ministero dell’Ambiente all’udienza preliminare sull’avvelenamento della falda acquifera da idrocarburi, causato, per l’accusa, dalla raffineria Tamoil. Nonostante l’interesse dimostrato a costituirsi parte civile attraverso il fax arrivato il 9 luglio scorso nell’ufficio del giudice Guido Salvini, oggi nessuno si è presentato. Il processo è stato aggiornato al 19 e al 24 settembre. C’è ancora tempo, quindi, sia per il Ministero di esercitare il proprio diritto a costituirsi parte civile, sia per le richieste di riti alternativi da parte dei legali dei cinque imputati. Fino a settembre il giudice ha sospeso la prescrizione.
Oggi c’è stata la costituzione di altre parti civili, tre soci della canottieri Flora, società finora rimasta fuori dal procedimento, e uno della Bissolati, tutti rappresentati dall’avvocato Vito Castelli, che vanno ad aggiungersi alle richieste di risarcimento del Dopolavoro ferroviario (1.800 soci effettivi), rappresentato dall’avvocato Annalisa Beretta, di altri 26 soci della canottieri Bissolati, tra cui anche i radicali Sergio Ravelli ed Ermanno De Rosa, tutti assistiti dagli avvocati Gian Pietro e Monica Gennari, Claudio Tampelli e Vito Castelli, e Legambiente, attraverso l’avvocato di Milano Ilaria Ramoni.
Nella scorsa udienza era stata accolta anche la richiesta del cittadino cremonese Gino Ruggeri, tesoriere dell’Associazione Piero Welby, rappresentato dall’avvocato Giuseppe Rossodivita (oggi sostituito dall’avvocato Alessio Romanelli), che, in base a quanto recita l’articolo 9 del testo unico degli enti locali, intende difendere gli interessi della collettività, vista la rinuncia del Comune di Cremona a costituirsi parte civile nel procedimento.
Il giudice ha poi modificato il punto B del capo di imputazione sulla contravvenzione indicata dall’articolo 257 del decreto legislativo 152/2006 sulle leggi ambientali, ritenendo che il reato sussista ancora oggi, in quanto l’opera di bonifica non è stata ancora eseguita.
GLI IMPUTATI
Cinque gli imputati dell’inchiesta “madre” sull’inquinamento ambientale delle falde acquifere da parte della raffineria Tamoil. Si tratta di Mohamed Saleh Abulaiha, libico, direttore generale della Tamoil Raffinazione dal 2007, Ness Yammine, libanese, amministratore delegato dal 2006 della Tamoil Raffinazione e amministratore delegato e direttore generale della Tamoil Italia (le loro posizioni sono state stralciate per un vizio di notifica), Giuliano Guerrino Billi, di Cremona, amministratore delegato della Tamoil Raffinazione dal 1999 al 2001 e della Tamoil Italia dal 1999 al 2004, Enrico Gilberti, di Robecco d’Oglio, amministratore delegato dal 2001 al 2004 della Tamoil Raffinazione e di preposto dal 1999 al 2006 e dal 2007 in poi, e Pierluigi Colombo, di Abbiategrasso, direttore generale della Tamoil Raffinazione nel periodo 2006/2007. Abulaiha, Billi, Gilberti e Colombo sono assistiti dall’avvocato Carlo Melzi D’Eril, del foro di Milano, mentre Yammine dai legali Giacomo Lunghini e Alessandro Della Cha, entrambi di Milano.
I REATI CONTESTATI
L’accusa è di non aver adottato idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza per bloccare lo sversamento al suolo di sostanze inquinanti penetrate nel terreno attraverso “forme abituali di gestione illecita di rifiuti, incidenti, perdite dai serbatoi e dalla rete di raccolta delle acque”. Nel capo di imputazione si contesta la mancata attivazione al fine di “accertare l’effettiva esistenza del cosiddetto taglione lungo l’argine maestro del fiume Po che avrebbe dovuto impedire la migrazione delle sostanze inquinanti, attraverso la falda, oltre i confini della raffineria”, accettando in questo modo “il rischio di avvelenare le acque della falda superficiale, intermedia e profonda, aumentandone il grado di contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti anche nelle aree circostanti al di fuori del perimetro della raffineria. In particolare, nelle comunicazioni inoltrate alla Regione Lombardia, alla Provincia e al Comune di Cremona nel marzo del 2001 per la Tamoil Petroli e per la Tamoil Raffinazione, Gilberti e Billi dichiaravano che non sussistevano i presupposti per interventi di messa in sicurezza di emergenza, quando invece il sito della raffineria si presentava già pesantemente inquinato quanto alle acque di falda e al suolo”.
“Le aziende sceglievano di non dare sollecito corso né alle specifiche richieste del Comune di Cremona, con cui si chiedeva la verifica dell’inquinamento anche delle aree esterne alla raffineria e di accertare la sussistenza della barriera naturale dell’argine maestro del fiume Po, né a quelle di Arpa, che richiedeva dettagliata indicazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza con conseguente grave e consapevole ritardo nell’adozione di soluzioni tecniche atte a limitare e a contenere l’avvelenamento delle acque e l’inquinamento del suolo entro i confini della raffineria. Solo nella prima decade del luglio del 2007 veniva messa in funzione la prima pompa stimme della barriera idraulica che consentiva di emungere dalla falda il prodotto surnatante (al 27 febbraio del 2009 ben 690 mc) e contenere un’ulteriore espansione dell’inquinamento della falda sottostante l’area golenale al di fuori del sito Tamoil, specialmente nell’area sud ovest, esterna alla raffineria, denominata alveo ex Riglio, gravemente contaminata: il suolo fino a 10 metri di profondità si presentava fortemente inquinato per presenza di idrocarburi, benzene e piombo; le acque della falda superficiale ed intermedia risultavano non conformi ai parametri e concentrazioni di legge per contaminazione da idrocarburi totali, BTEX (benzene, toulene, etilbenzene e xilene), MTBE, ferro, vanadio, cadmio, piombo tetraetile, manganese, composti organici alogenati. In particolare, a seguito dei prelievi del 13 luglio del 2007, si accertava che presso le canottieri Bissolati, Flora, Cral Tamoil, Dopolavoro Ferroviario e Baldesio le acque destinate al consumo e all’utilizzo umano, pozzi dai 40 ai 140 metri, piscine e acqua del rubinetto della cucina presentavano parametri difformi quanto alla presenza di idrocarburi totali e metalli pesanti. Inoltre alla Bissolati il pozzo di 41 metri presentava una notevole concentrazione di benzene, sostanza altamente tossica per la salute umana”.
I soli Gilberti, Yammine e Abulaiha devono anche rispondere di delitto colposo e di disastro doloso (entrambi reati puniti con la reclusione da uno a cinque anni) per fatti accaduti a Cremona tra il maggio e il giugno del 2008. “In cooperazione colposa tra loro, non prevedendo, per imprudenza ed imperizia, la dispersione nell’ambiente di vapori esplosivi, non adottavano tempestivamente misure di sicurezza idonee ad aspirare i gas infiammabili sprigionatisi dal sottosuolo, gravemente contaminato per la presenza, nel suolo e nella falda superficiale, di idrocarburi, con conseguente grave e concreto pericolo di esplosioni che avrebbero messo a repentaglio la pubblica incolumità. In particolare, i rilievi effettuati dai vigili del fuoco registravano alla Bissolati la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni sia nei pozzetti dei sottoservizi, sia negli edifici adibiti a preparazione e consumazione pasti; alla canottieri Flora la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni all’interno dei pozzetti dell’impianto elettrico di terra nel parcheggio interno; nello spazio libero adiacente il Circolo Cral Tamoil e l’abitazione di Mario Manzia la presenza di miscela infiammabile con elevate concentrazioni in corrispondenza di un pozzetto dei sottoservizi elettrici, mentre al Circolo Cral Tamoil la presenza di vapori esplosivi in condotti di servizio e pozzetti d’ispezione; situazioni che imponevano all’autorità comunale l’adozione di ordinanze di divieto di accesso ai circoli ricreativi e il distacco cautelativo dell’energia elettrica per evitare che scintille elettriche potessero provocare esplosioni”.
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