Cronaca

Festival Monteverdi, una voce superba ed effetti visivi in 'Era la notte' al Ponchielli

La superba voce di Anna Caterina Antonacci con l’accompagnamento musicale dell’Accademia degli Astrusi sarà protagonista di Era la Notte, penultimo appuntamento del Festival Monteverdi sabato 26 maggio (ore 21.00). Lo spettacolo di Juliette Deschamps, dai suggestivi effetti visivi, si avvale dei costumi di Christian Lacroix, geniale stilista francese, delle luci di Dominique Bruguière e delle scene di Cécile Degos.

I biglietti sono in vendita alla biglietteria del Teatro, aperta tutti i giorni feriali dalle 10.30 alle 13.30 e dalle 16.30 alle 19.30 (tel 0372.022001/02) – info@teatroponchielli.it –www.teatroponchielli.it
biglietti: posto unico numerato € 28,00.

Della notte bisogna amare le sorprese, i mormorii, quello che richiude e non sempre consegna. Nell’oscurità capirne la storia, immaginare la sua strada senza lasciarsi ingannare dal buio, lasciarsi prendere dal gioco delle metamorfosi e delle ambiguità. Celebrare infine il suo pudore e amare ciò che nasconde. La notte è la scena di tutti i piaceri, tutte le confessioni, e tutti i reati. Soprattutto sentiamo la musica in modo diverso. E come titolo ho scelto Era la notte. Sono nata nei teatri, ci sono cresciuta, architetture familiari e lessico da navi. Conosco il corpo degli attori, giacché ho sempre sentito il loro canto. Ho spesso immaginato che per i pittori, poeti, registi, ci fosse un incontro raro, fondamentale ispirante, definitivo.
Nell’agosto del 2003, in uno studio di Ivry, Anna Caterina Antonacci è entrata in sala prova per diventare Cassandra. Stavano preparando Les Troyens di Berlioz. La rivedo piangere sul palco nel suo abito bianco. Troia bruciava. Le donne si suicidavano. Ci vedo piangere silenziosamente dietro le quinte, le lacrime vere, come i bambini, presi nei nostri drammi, le nostre fantasie, piangendo la caduta predetta, quella che sapevamo in anticipo, che ogni sera si verificava sul set infuocato.
Anna Caterina Antonacci ha la gravità delle Madonne e la presenza calda delle donne predestinate. L’ho vista assumere il ruolo, l’ho vista vincere la folla e sensibilizzare il pubblico, prenderli ed attirarli a se per raccontare la storia. Come nelle serate d’opera romantiche, ho visto i loro occhi spalancati, il loro fiato sospeso. Stregati, conquistati. É apparsa e l’ho riconosciuta come l’attrice che avevo sempre voluto in scena, la voce che aspettavo da sempre e immediatamente riconoscibile tra tutte.
Di questo spettacolo, Anna Caterina Antonacci ha scelto il corpus. Quattro piccoli capolavori, tesori del suo repertorio, mantenuti anno dopo anno, come un amore sempre rinnovato, uno stupore ogni volta; quattro pezzi che sono molto diversi diventano i quattro momenti del nostro spettacolo Era la notte. Questo titolo, preso in prestito dal XII canto della Gerusalemme Liberata del Tasso, che deriva dal testo meraviglioso del Combattimento di Tancredi e Clorinda, l’ho scelto per introdurre una storia oscura.
Immagino scene della vita di una donna, di cui indoviniamo lo stato di perdizione. Per amore senza dubbio. Lei ci racconta, con un’elegante crudezza, in una lingua preziosa e rauca, gli episodi della sua vita, fatta di sogni d’amore e di dolore d’amare. Sola sul palco, demente, inquietante, genio visionario della sua vita lacerata.
Questi quattro pezzi, provate ad ascoltarli come il canto di un solo e unico personaggio, che si trasforma, uomo, donna e profetessa. La donna malata d’Amore (La Pazza), la moglie abbandonata (Lamento d’Arianna), invocando la morte come unica via d’uscita (Lagrime mie), visionaria ambigua dei drammi e incomprensioni fatali dell’amore (Il Combattimento di Tancredi e Clorinda).
In passato il dizionario definiva il Barocco come “un colore del bizzarro”. Rare queste musiche, questi libretti che offrono ai personaggi cosi tanta libertà, di parola, di tono e di azione, tanti specchi, tutti i superlativi del linguaggio musicale, delle torsioni del corpo e infine l’espressione cruciale dei sentimenti vitali, tutte le rotture, tutti i capovolgimenti, dalla dolcezza alla furia, dall’abbraccio all’omicidio.
Linguaggio turbato, scombussolamento del corpo, perdita della ragione, il soggetto non si riconosce; un linguaggio che straripa, spesso offensivo, sempre peccaminoso, blasfemo nelle parole disassociate de La Pazza, nell’invocazione della morte nel Lagrime mie e negli slanci omicidi di Ariana, lingua sovversiva e sfacciatamente provocante di Clorinda. Dalla retta via della pietà noi spesso deviamo.  Questo canto d’amore e di rabbia può incendiare le polveri, bruciare e infiammarsi di nuovo.
Uno deve amare questi testi senza civetteria. E immaginare Arianne guardare oltre l’orizzonte. Immaginare quello che poteva significare l’attesa, il silenzio, l’assenza di segni. Sentire il suo canto che si disperde nel cielo, come delle grida mai sentite. C’è un rapporto speciale nel silenzio e nell’assenza, nella memoria anche, che fa che il canto può esistere. E nel Combattimento finale, un tentativo di uscire dalla notte.
Qui il canto è un sintomo. Noi cantiamo quando siamo sul punto di morire d’amore, o per implorare la morte. Poi, come gli zampilli di sangue caldo dalla ferita di Clorinda, la canzone trasuda dal corpo come la prova definitiva dell’esistenza, e come la forma più artefatta del dolore.

Juliette Deschamps

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