Cronaca

La sua Apocalisse è rivelazione di passi, di corpi e di stile Un grande Preljocaj al Ponchielli ha aperto la rassegna La Danza

– FOTO FRANCESCO SESSA

Non la si deve perdere. Eccola l’Apocalisse di Angelin Preljocaj. Un’ora e quaranta di rivelazioni, per la prima volta in Italia, davanti ad un pubblico numeroso che ha riempito il Ponchielli fino al terzo ordine per il grandissimo esordio della rassegna La Danza. Quadro impressionista quello del coreografo nato in Francia da genitori albanesi, fatto di tanti quadri, uno dietro l’altro, uno dentro l’altro.
I corpi svestiti di donne si muovono nervosamente sul palcoscenico. I loro muscoli sono tesi, le loro teste dritte, le loro braccia forti. Nello spazio, disegnano linee e forme sotto un ritmo metallico, incalzante. Tanto rapido da farle cadere. Ecco la rivelazione, il quadro successivo. Sono donne coperte da un telo trasparente su cui si coricano uomini in giacca e cravatta. Sotto e sopra il cellofan, tutti sono uguali. Donne impacchettate che lasciano sul palco uomini impacchettati. Il dipinto prosegue, i ballerini danzano senza fermarsi, senza tentennamenti, come manichini. E quando la musica improvvisamente si ferma l’uomo cade e si contorce, prendendo le sembianze di un animale, di un uccello.
Poi, un altro quadro. Libri, libri, libri dappertutto. In bocca, tra le mani. File di danzatori che si muovono a canone e poi a specchio in un gioco continuo di rimandi e citazioni. C’è la tenera lotta tra due uomini che si mordono, si alzano, si abbracciano. I ballerini diventano strumento di un disegno più grande di loro che li vuole uniti, alla fine, in un bacio inaspettato. C’è il delirio di un uomo urlante in mezzo alla perfezione. Tra tanti lettori che in sincrono, come automi, si leccano le dita, sfogliano le pagine di un libro, si asciugano la fronte. Cambia la scena: lo sfondo si alza, dal fumo escono due donne con in mano un vassoio tondo. Sono belle, pure, in bianco. Alla fine il disvelamento: ferme immobili, scende sangue dalla bocca, lungo il braccio, fin su quel piatto d’argento.
Ed è di nuovo un altro quadro. Uomini e donne senza volto entrano camminando. Hanno la faccia coperta da teli colorati, sono le bandiere degli stati di tutto il mondo. Si compongono e ricompongono in quadretti erotici, in scene forzatamente spinte. Buio, fanno il loro ingresso sulla scena dei muri girevoli che nascondono donne con tacchi altissimi e caschi spaziali.
Lo spazio si stringe, si allarga, si avvicina. Fa da sfondo ad un uomo bendato che spinge con violenza la sua donna alla parete. Ma non c’è tempo, i muri si aprono, le luci si spostano. Due ballerini si muovono splendidi per velocità e precisione uno accanto all’altro, mentre dall’alto piovono vicine ai lori corpi in movimento catene di ferro, tante catene, sempre di più.
Nell’ultima scena le bandiere ritornano. Escono da lavandini in fondo palco, inzuppate di acqua. I ballerini le lanciano e poi scivolano fino in fondo sul palco bagnato. Poi le appoggiano vicine, creando un enorme tappeto di bandiere fradice. Ed ecco l’ultima rivelazione, la più sorprendente, la più forte. Due ballerini entrano in scena con due piccole pecore tra le braccia. Finisce così l’Apocalisse di Preljocaj con due pecorelle spaventate in mezzo ad una distesa di bandiere. Suivront mille ans de calme.

G.f.

Galleria fotografica di Francesco Sessa

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