Cronaca

“Oggi i bimbi non hanno voce” La riflessione del vescovo Lafranconi a politici e amministratori

Promuovere la natalità significa promuovere la società nel suo insieme, offrirle un futuro, ridare un senso al vivere di un intero popolo che pare abbia perso la gioia e l’entusiasmo per il domani. Questo il messaggio che mons. Lafranconi ha lanciato a un nutrito gruppo di esponenti del mondo istituzionale, politico, economico e sociale riunito per il tradizione incontro natalizio promosso dall’ufficio diocesano di pastorale sociale domenica 27 novembre al Centro Pastorale diocesano. Il presule, prendendo spunto dal raduno mondiale delle famiglie a Milano nel 2012, ha incentrato la sua attenzione sul pauroso decremento demografico cui è vittima il nostro paese da alcuni anni. Un fenomeno che non è solo causato da infelici politiche familiari, ma anche da una cultura fortemente egoista ed edonista.

In vista del grande incontro mondiale di Milano tra il maggio e il giugno 2012 dal titolo: “La famiglia, il lavoro e la festa”, mons. Dante Lafranconi ha incentrato la riflessione natalizia agli esponenti del mondo istituzionale, politico, economico e sociale sul grave problema delle denatalità che attanaglia il nostro paese da diversi anni.

Anzitutto il Vescovo ha elencato alcuni dati allarmanti: i nati ogni anno nel nostro paese sono circa 600.000, ma ce ne vorrebbero almeno 750.000 per compensare il numero dei deceduti. Senza un radicale cambio di tendenza nel 2050 vi sarà un crollo della popolazione lavorativa con un conseguente fallimento dello stato sociale e dell’intera economia. Sempre nel 2050 la popolazione con meno di 65 anni si ridurrà di 6.500.000 milioni, mentre quella superiore ai 65 anni aumenterà di oltre 8.200.000 unità.

Questi dati sconfortati hanno portato il presule a domandarsi le cause del fenomeno sociale, assai diffuso in tutta Europa.

Soprattutto in questa congiuntura economica, segnata da una crisi profonda – 1/4 delle famiglie italiane non sarebbe in grado di far fronte a spese impreviste e il 94% si ritiene in condizioni di debolezza economica – i figli sono considerati un costo non sostenibile. Ma se per tante famiglie i figli sono degli “incidenti” da evitare, per lo stato rappresentano delle risorse imprescindibili per poter mantenere inalterato lo stato sociale attuale.

Oltre che da una motivazione economica la denatalità è causata da un tipo di cultura non favorevole alla vita. Soprattutto i mass-media presentano i figli come degli impedimenti alla carriera, alla libertà personale, alla realizzazione di se stessi. In questo clima culturale l’aborto ha certamente influenzato quella mentalità che rivendica diritti solo per gli adulti, ma mai o quasi mai per i bambini e soprattutto per quelli non ancora venuti alla luce. A tal proposito il presule ha invocato la piena attuazione della legge 194 che nell’articolo primo si prefigge di tutelare la marternità.

In terzo luogo, per mons. Lafranconi, la denatalità è causata anche da una cattiva interpretazione del magistero della Chiesa quando invita a una paternità e maternità responsabile. Da molti questa sottolineatura, contenuta nella Gaudium et Spes numero 50, è stata intesa come invito ad una riduzione delle nascite. In realtà il Concilio Vaticano II ha voluto offrire dei criteri oggettivi che possano guidare a una fecondità responsabile. Tali criteri sono stati nuovamente ricordati da mons. Lafranconi: il bene degli stessi sposi, il bene della famiglia nel suo complesso e il bene della società.

Inoltre la crisi della nascite è dovuta anche ad un cambiamento profondo delle dinamiche interne alla famiglie: i figli, infatti, tendono a rimanere maggiormente in casa anche per la dilatazione dei tempi di studio. Si comincia, quindi, a lavorare più tardi ed inevitabilmente ci si sposa più tardi, magari avanti negli anni.

Le cause delle denatalità sono certamente riscontrabili in un’incapacità della politica di sostenere le famiglie, anche se per mons. Lafranconi la causa prima e fondamentale è la mentalità di oggi. Si potranno, infatti, promulgare le leggi più belle, ma se la coscienza non è educata al bene, esse serviranno a poco.

Per il presule è necessario riscoprire il senso del generare che il cristiano non può mai separare dal suo riferimento a Dio. Il bimbo che nasce, cioè, non è un possesso dei genitori perchè ha la propria individualità e personalità che lo rende immagine e somiglianza di Dio. Per i genitori la prola è cifra del divino.Un padre e una madre devono, quindi, intendersi come cooperatori dell’opera di Dio. Solo in questa prospettiva, che vede il figlio non semplicemente come un oggetto del desiderio, ma come un dono di Dio che sovrasta ogni aspettativa, si potrà dare un senso vero al generare e ritrovare la voglia di fare dei figli.

La mattinata si è conclusa con un breve dibattito.

 

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