Cronaca

La relazione di Magnoli al Pd: “Tra Capannina, assalti ai banchetti e un presidente della Provincia giocherellone. L’immagine di una politica estiva cremonese fuori di testa”

(sopra, Magnoli)

Il segretario provinciale del Pd Titta Magnoli, lunedì sera, nel corso della assemblea provinciale del partito ha tenuto una relazione nella quale ha evidenziato i punti salienti del suo essere in politica: per “ridare centralità alla politica come processo collettivo” (“Una dimostrazione concreta che i partiti sono abitati da persone serie che spendono ore della propria vita per cercare soluzioni collettive. Credo che la politica debba fare questo sforzo per riprendersi una centralità che oggi non ha più. E’ l’antidoto per combattere i poteri di supplenza, quei famosi centri di potere che pensano di determinare a tavolino chi fa il sindaco e di bastonare – metaforicamente, mi raccomando – chi non segue i loro preziosi consigli“) e per “il rinnovamento come soluzione” (“Vincere Crema, impegnarsi per Crema, è l’impegno che qui prendiamo tutti comprendendone la valenza non solo simbolica. Se poi dovesse succedere qualcosa anche a Cremona, visto come sono messi, saremo pronti. Il tutto continuando con la linea che ci impegna fin dall’inizio, cioè su un intelligente rinnovamento, sulla capacità di dimostrare alla città che siamo capaci di mobilitarne le forze vive senza l’ansia di essere predominanti e soprattutto senza la velleità di alcun singolo di essere l’unico che può dare una data soluzione…”). Magnoli ha poi toccato con ironia alcuni passaggi della politica estiva cremonese. “Non sfuggo alla parte divertente della serata. Divertente perché la crisi che stanno attraversando il comune di Cremona e di Crema ha del divertente. Scene da commedia Goldoniana, condite da parole in libertà, litigi, insulti sul piano personale, scene da film con riunioni alla Capannina di Forte dei Marmi (che non fa molto crisi economica, quanto Cremona da bere) in presenza di imprenditori che hanno innumerevoli appalti con l’amministrazione comunale e uomini delle aziende che fino a ieri ci venivano venduti come gran tecnici della società civile e che oggi vanno a una riunione di un partito che non dovrebbe più esistere. – ha detto Magnoli – Abbiamo poi un presidente della Provincia che si esercita nel gioco dell’estate delle alleanze territoriali cercando, vecchia passione della destra, persino uno sbocco al mare e che intanto accelera sulla società provinciale dell’acqua. Come dire: prima facciamo la società di gestione provinciale poi aboliamo la provincia e rifacciamo tutto. Sul sindaco di Crema c’è poco da dire, se non che alcuni episodi degli ultimi giorni lasciano particolarmente perplessi, come quello avvenuto ad un banchetto di raccolta firme. Si è manifestata la stessa tensione avvenuta anche a Cremona a un banchetto della Lega. Insomma l’immagine è di una politica fuori di testa. Non solo lontana dai problemi della gente, ma realmente popolata da matti. Ecco, un piccolo sogno che coltivo, è quello di non finire in quel tritatutto, di schivare ogni tentazione di “tutta un erba, un fascio”, e distinguere un profilo politico serio e concreto. Dialogante ma anche deciso e con le idee chiare. Su questa strada credo che si debba tornare, su alcuni temi, a trovare una posizione comune con dei documenti studiati da piccole commissioni e votati dall’assemblea. Nel rispetto e nella garanzia di chi la pensa diversamente”.

Alla relazione di Magnoli è poi seguito il dibattito assolutamente in linea con le posizioni espresse dal segretario.

 

LA RELAZIONE COMPLETA

Relazione 12 settembre 2011 – Assemblea Provinciale

I fattoidi. Norman Mailer, geniale scrittore americano, ha coniato un termine che nella scienza della comunicazione ha avuto grande fortuna, diventando un vocabolo imprescindibile nella lettura della realtà. Questa parola è fattoide, in netta e comprensibile contrapposizione con fatto.

Faccio un esempio di attualità per farmi capire. Un fattoide è che le centrali nucleari sono “ormai supersicure”. Un fatto è l’incidente di oggi in una centrale nucleare nei pressi di Avignone (242 km dall’Italia) che ci dice altro.

Un fatto è quindi un evento realmente accaduto. Un fattoide è qualcosa che non esisteva in quella forma prima di essere raccontato da un mezzo di comunicazione. Un reality show è un fattoide della vita. Non è necessariamente qualcosa d’inventato, ma anche d’inconsistente che, una volta creato e amplificato, nutrito e coccolato, diventa una realtà.

Perché nella scienza della comunicazione un caposaldo fondamentale è l’enunciato che “non importa ciò che è vero, ma ciò che è creduto vero”. Per cui la realtà si intreccia con la finzione, e la finzione prende corpo divenendo una ipotesi realistica. Spesso il tutto si sgonfia, ma ancora più spesso resta come convinzione di fondo difficilmente estirpabile.

Purtroppo la politica ha imparato a nutrirsi di fattoidi più che di fatti.

Ne abbiamo avuto un esempio preclaro con questa manovra finanziaria, che ha agitato il dibattito pubblico con annunci e controannunci lasciando disorientati i cittadini che oggi non sanno ben dire cosa contiene davvero la legge che è in Parlamento in queste ore.

Credo che nella gara a inseguire i fattoidi, la politica perda il maggior terreno nel suo rapporto con le persone, dando quella impressione dolciastra che neppure il politico sa bene ciò di cui sta parlando. Questo avviene perché il dibattito è alimentato sulle dichiarazioni e contro dichiarazioni sui giornali, il che fa perdere ogni pur labile legame con i fatti.

Faccio un esempio concreto e attuale: il dibattito pubblico cremonese parla di ipotesi politiche che alla fine diventano oggetto di discussione. Il tutto senza che ci sia nulla di concreto, una sorta di ballon d’essai che viene gettato nell’arena per vedere, di nascosto come dice Jannacci, l’effetto che fa. Si parla di una lista civica che però fa riferimento al Partito Popolare Europeo. Come dire civica ma chiaramente ancorata a una famiglia politica europea, e per questo per nulla trasversale, come viene dichiarato. Per cui, mi verrebbe da dire, per nulla civica.

Ma parliamo di noi.

E’ un fatto che in un partito politico ci possano essere visioni diverse, modi differenti di valutare le situazioni; è un fattoide che al nostro interno ci sia una guerra di tutti contro tutti. E soprattutto, lasciatemelo dire per fatto personale prima, e politico poi, che ci sia alcuna forma di dualismo fra me e Luciano Pizzetti. Capisco che raccontare la storia per grandi scontri dia alla vicenda un po’ di sale che va oltre le nostre umili figure, ma chi crede ciò è totalmente fuoristrada. Questo è uno splendido fattoide, al quale poi qualcuno può finire di credere (ma non certo i protagonisti).

E’ importante per me sgombrare il campo da questa narrazione, per quello che può essere il mio contributo. Perché è ovvio che si voglia costruire il fattoide di un partito in cui si continua a litigare. Ma così, onestamente, non è.

Noi possiamo constatare ogni giorno che non è così ma purtroppo così appare, alla fine, a chi ci guarda da lontano. Una sensazione purtroppo alimentata anche da alcuni atteggiamenti irresponsabili in un’ottica di lealtà verso un partito politico qual siamo. Perchè, anche se non va più molto di moda in qualche salotto, un partito è pur sempre un organismo previsto dalla nostra carta costituzionale. E l’ultima esperienza di soppressione dei partiti, come agognato da alcuni, non è ascrivibile alle pagine migliori della storia italiana.

Per cui, prima di tutto, il mio invito ad ognuno di noi è quello di fare lo sforzo di districarsi fra fatti e fattoidi, e, nel dubbio, di verificare direttamente alla fonte, se esistono dei dubbi. Basta un sms, una mail o una telefonata. Perché se no rischiamo di venire travolti dalla distanza che mette la comunicazione, quando siamo tutti a portata di mano, pronti a risponderci e a parlarci come si addice a persone serie. Ogni altro comportamento lo considererò da oggi in cattiva fede, per cui non degno di risposta.

Questo al netto dell’importante ruolo che svolgono ogni giorno i mezzi di comunicazione e della serietà dei giornalisti. Non è “colpa dei giornali”, come si ama ripetere, ma è colpa dei singoli individui se non si attengomo ad elementari principi di convivenza civile. Prima di chiedere una cosa in pubblico sarebbe utile prima tentare di chiederla in privato.

So che parlo del male della politica a tutti i livelli e non ho alcuna speranza di porre rimedio all’inevitabile, ma un richiamo alla sobrietà mi sembra fondamentale in premessa per evitare che lo smarrimento prevalga nei nostri militanti ed elettori.

L’impegno deve essere quello di parlare di fatti, tragici e concreti come la crisi che tormenta le famiglie, o la condizione delle finanze dei comuni o degli enti pubblici, o l’autorizzazione di una discarica di amianto.

Così la politica ritroverà ascolto nelle persone.

Da parte mia, e faccio un’annotazione personale in risposta anche a chi mi sollecita tante volte, c’è una allergia marcata per i fattoidi, per i discorsi privi di un fondamento politico, per la chiacchiera pettegola. E anche se il dibattito pubblico tenderà a portarci su quello, io cercherò di non rispondere. E se qualcuno sarà roso dalla curiosità di sapere cosa ne penso del tal argomento, sappia che può facilmente raggiungermi ed avere, in presa diretta, la versione dei fatti. Non c’è bisogno di tirarmi in ballo su un giornale.

La vicenda Penati. Dal 20 di luglio è pubblica una inchiesta della Magistratura di Monza su vicende che coinvolgono l’ex presidente della Provincia di Milano e candidato alla presidenza della Regione Filippo Penati. Non è il luogo per ribadire i passi fatti dal partito non tanto per mostrare una diversità etica, che non esiste, ma una diversità di approccio a questi eventi. Nei tempi si è riusciti a distinguere la vicenda del partito dalla vicenda personale dell’indagato, mantenendo un profilo di garanzia reciproca. Credo sia un comportamento che vada sottolineato, anche a motivo di orgoglio e pensando a quanto accade in altre formazioni politiche.

Sulla discussione che seguirà queste contestazioni, a partire dalla vicenda Milano Serravalle, credo sia necessario affrontare politicamente un dibattito solo in presenza di fatti certi e, almeno, di un ipotetico rinvio a giudizio. Parlarne ora, sempre senza carte in mano e basandosi su fattoidi, credo non ci porterebbe da nessuna parte.

Resta comunque il tema dell’uso politico che si sta facendo della vicenda.

La fine di un’era politica. Non sarà oggi, non sarà domani, ma appare chiaro che si avvicina la fine naturale di una lunga epoca politica come quella che ha visto Silvio Berlusconi protagonista dal 1994. Appare altrettanto chiaro che si voglia, con la fine dell’era berlusconiana, la fine di un intero sistema politico. Una sorta di cupio dissolvi che cancelli tutto l’esistente nel quadro politico italiano. Per essere espliciti, la convinzione di molti e importanti commentatori è che sotto le macerie del berlusconismo dovrà morire anche il Patito Democratico e il quadro politico come lo abbiamo conosciuto in questi anni. In questo senso le sirene del disastro non suonano solo a destra ma anche all’interno del centro sinistra. Credo che questo sia un tema che vada affrontato seriamente, facendo un’analisi collettiva seria. Non tanto sul senso dei partiti (se no ricominciamo tutte le volte da Adamo ed Eva) ma sulla mitizzazione che oggi viene avanti del movimentismo.

Il mio timore è che, camuffato da partecipazione e movimento, non si ricada nelle braccia del leaderismo, dell’uomo solo al comando, che credo sia la vera scoria radioattiva che il berlusconismo ci lascerà in eredità. Faccio un esempio, forse al momento controcorrente. La mitizzazione, raccontata scrupolosamente da Concita de Gregorio su Repubblica ogni giorno, dell’uomo solo al comando, del sindaco che da solo vince, contro tutto e tutti, credo non restituisca la corretta relazione politica di ciò che è accaduto a Milano; dove quasi il 60% dei voti serviti per l’elezione di Pisapia sono arrivati dal simbolo del Partito Democratico, che ora viene dipinto come un ostacolo più che come una risorsa. Non parliamo di Napoli, il cui sindaco si è permesso parole durissime nei confronti del nostro partito. Credo che questo sia un punto di riflessione che in vista della conferenza organizzativa del Partito dobbiamo porci. Anche perché noi stiamo impostando il nostro lavoro in completa controtendenza. Non crediamo negli uomini soli al comando, ma nella forza di un collettivo, sintetizzabile nel famoso adagio che tre teste pensano meglio di una sola.

Ovviamente continuo a parlare di questioni nazionali ma tutto è riportabile al particulare nostro in pochi passaggi…

I referendum, i comitati, la richiesta di partecipazione. Ma come possiamo affrontare questo dibattito? Non credo certo chiudendoci a riccio in un orgoglio di partito fuori dal tempo e dalle mode (anche se, lo confesso, questa malattia un po’ mi affligge). Occorre riconoscere che spesso non siamo pronti ad una mediazione fra la forma di discussione politica alla quale siamo stati abituati nelle nostre storie e l’apertura vera e reale.

Ci bastano le regole statutarie che ci siamo dati? No. E lo sottolinea una persona che crede che lo statuto del Pd sia un punto molto avanzato nel patrimonio politico italiano. Vi cito solo un articolo che cerco sempre di seguire ma che, alla luce del clima di antipolitica o di disinteresse, mi sembra ogni giorno più velleitario.

Articolo 1, comma 10. “Il Partito Democratico promuove la circolazione delle idee e delle opinioni, l’elaborazione collettiva degli indirizzi politico?programmatici, la formazione di sintesi condivise, la crescita di competenze e capacità di direzione politica, anche attraverso momenti di studio e di formazione”.

Ma in cuor nostro sappiamo, ad esempio, che parole come “direzione politica”, ormai sono prive di un significato proprio. Lo dico parlando di una funzione che è propria del segretario per non offendere nessuno. Ma anche altri lavori appaiono improbi, anche se su tutti ci applichiamo con metodo e serietà.

Con l’onestà intellettuale che cerco di coltivare vi dico che se fossi convinto che ho delle colpe in ciò, mi dimetterei oggi stesso. Ma purtroppo constato che questa difficoltà è cronica dall’ultimo (dimensionalmente) dei circoli, alla segreteria nazionale.

Oggi, ad esempio, mi è stato chiesto di parlare del referendum elettorale. Ma io non entro nel tema specifico, io non firmerò, ma voglio sottolineare che a fine di luglio la direzione nazionale ha sancito la nostra proposta di legge elettorale e che oggi i nostri telefoni sono roventi perché c’è domanda di moduli per firmare. Firmare contro, evidentemente. Questo è un altro esempio in cui il termine “direzione politica” mi ballonzola nella testa.

Sappiamo quindi che un comitato di scopo può spazzare via mesi di lavoro di elaborazione collettiva, che un’onda emotiva riazzera ogni sforzo di costruzione di una politica. Questo non vuole essere un urlo di dolore, ma una presa d’atto su cui aprire il dibattito. Non dobbiamo, credo, né inseguire l’ultimo comitato perché raccoglie più di cento firme ma nemmeno sperare di tappare la falla con un dito. Cioè non possiamo arroccarci neppure in atteggiamenti snobistici dicendo che la via dei comitati è sbagliata. Perché è comunque una forma di partecipazione diretta e nobile che va rispettata. Se no ci resta solo la disperazione dell’antipolitica. Se l’era dei Pisapia è cominciata (cito lui perché mi sembra un ottimo esempio: politico navigato che diviene nuovo e impolitico) credo che non possiamo rimanere indifferenti a questa analisi.

Cosa ci insegna il caos cremonese. Non sfuggo alla parte divertente della serata. Divertente perché la crisi che stanno attraversando il comune di Cremona e di Crema ha del divertente. Scene da commedia Goldoniana, condite da parole in libertà, litigi, insulti sul piano personale, scene da film con riunioni alla Capannina di Forte dei Marmi (che non fa molto crisi economica, quanto Cremona da bere) in presenza di imprenditori che hanno innumerevoli appalti con l’amministrazione comunale e uomini delle aziende che fino a ieri ci venivano venduti come gran tecnici della società civile e che oggi vanno a una riunione di un partito che non dovrebbe più esistere.

Abbiamo poi un presidente della Provincia che si esercita nel gioco dell’estate delle alleanze territoriali cercando, vecchia passione della destra, persino uno sbocco al mare e che intanto accelera sulla società provinciale dell’acqua. Come dire: prima facciamo la società di gestione provinciale poi aboliamo la provincia e rifacciamo tutto.

Sul sindaco di Crema c’è poco da dire, se non che alcuni episodi degli ultimi giorni lasciano particolarmente perplessi, come quello avvenuto ad un banchetto di raccolta firme. Si è manifestata la stessa tensione avvenuta anche a Cremona a un banchetto della Lega.

Insomma l’immagine è di una politica fuori di testa.

Non solo lontana dai problemi della gente, ma realmente popolata da matti. Ecco, un piccolo sogno che coltivo, è quello di non finire in quel tritatutto, di schivare ogni tentazione di “tutta un erba, un fascio”, e distinguere un profilo politico serio e concreto. Dialogante ma anche deciso e con le idee chiare. Su questa strada credo che si debba tornare, su alcuni temi, a trovare una posizione comune con dei documenti studiati da piccole commissioni e votati dall’assemblea. Nel rispetto e nella garanzia di chi la pensa diversamente.

Ma con la possibilità di dire: “cosa dice il Pd su questo tema?”. Ecco, leggiti questo. Credo sia un utile esercizio, che abbia radici antiche e che vada riattualizzato. Si può partire su alcuni temi già oggetto di discussione in questi giorni.

Ridare centralità alla politica come processo collettivo. Credo che questo, fatta sempre salva l’analisi sul momento politico generale (Pisapia, movimenti, etc), sia un modo serio di ridare centralità all’azione politica organizzata. Una dimostrazione concreta che i partiti sono abitati da persone serie che spendono ore della propria vita per cercare soluzioni collettive. Credo che la politica debba fare questo sforzo per riprendersi una centralità che oggi non ha più. E’ l’antidoto per combattere i poteri di supplenza, quei famosi centri di potere che pensano di determinare a tavolino chi fa il sindaco e di bastonare (metaforicamente, mi raccomando) chi non segue i loro preziosi consigli. Occorre uno sforzo per dimostrare che la politica è qualcosa di serio, che il consenso non è un lascito personale ma è frutto di un progetto politico. Occorre dimostrare che abbiamo una spina dorsale che si basa su ideali e voglia di cambiare il mondo in cui viviamo.

Il rinnovamento come soluzione. Come vedete, temi di discussione non mancano per una lunga stagione politica che ci vedrà infine impegnati sulle elezioni di Crema che al momento sono l’obiettivo prioritario del nostro territorio. Vincere Crema, impegnarsi per Crema, è l’impegno che qui prendiamo tutti comprendendone la valenza non solo simbolica. Se poi dovesse succedere qualcosa anche a Cremona, visto come sono messi, saremo pronti. Il tutto continuando con la linea che ci impegna fin dall’inizio, cioè su un intelligente rinnovamento, sulla capacità di dimostrare alla città che siamo capaci di mobilitarne le forze vive senza l’ansia di essere predominanti e soprattutto senza la velleità di alcun singolo di essere l’unico che può dare una data soluzione.

Fatemi dire, anche se non è il tempo ma come traccia e promemoria, alcune parole su come vorremmo affrontare le future scadenze elettorali.

“Noi siamo aperti ad ogni possibile convergenza con vera disponibilità, ma siamo consapevoli del nostro ruolo, della nostra forza e delle nostre responsabilità. Il recente e clamoroso esito delle elezioni amministrative credo abbia ben descritto quel che intendo dire: tanto la nostra disponibilità quanto la nostra apertura, tanto la nostra responsabilità quanto la nostra forza”.

Queste sono le parole del segretario Pierluigi Bersani di sabato a Pesaro. Mi fermo a queste, per ora, perché sono uno che crede ancora che la linea la dà il segretario. Poi vedremo cosa accadrà. Per ora siamo impegnati sulla buona riuscita delle primarie a Crema che sono ben instradate, in un clima collaborativo e vivace. Molta carne politica sul fuoco, quindi. Ciò non ci svierà dal lavoro organizzativo sul partito che stiamo facendo e che di certo verrà migliorato e arricchito dalla Conferenza organizzativa nazionale.

Chiudo con un invito: il 5 novembre tutti a Roma. Come tutti gli autunni c’è la grande manifestazione nazionale del Pd. Che sia un segno di rilancio e non di disperazione per l’inamovibilità di un Berlusconi che ormai non ha più alcuna credibilità.

 

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