Si ruba ovunque: in cielo, in terra e in mare
Sono 135 anni che il debito pubblico ci crea rogne. Dai tempi di Marco Minghetti, l’ultimo premier ad annunciare con orgoglio “il pareggio di bilancio”. Era il 1876. Oggi il debito pubblico è diventato un “mostro” da 1.900 miliardi di euro, pari cioè al 120 per cento del Prodotto interno lordo. E’ una cifra con tanti zeri che è difficile pure da scrivere. La domanda è d’obbligo: chi ci ha ridotto così? Alcuni esperti, giorni fa, hanno risposto partendo dai premier degli anni Settanta. Anni certo non facili: ricordo il varo del primo “governo di solidarietà nazionale” (con l’ingresso nella maggioranza del PCI), il rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse – però, che coincidenza! – , le mosse di Berlinguer (“compromesso storico”), inciuci vari. Niente. La crisi economica e le cicalate pubbliche hanno ripreso slancio e fermare il mostro è stato impossibile.
Belzebù Andreotti in verità ci ha provato più volte nella impresa titanica (il PCI nel frattempo, con le elezioni del 1976, era salito al 34,4% insidiando il primato della Dc, bloccata a quota 38,7%) ma nemmeno lui c’è riuscito; nemmeno varando un governo monocolore retto sulla “non sfiducia” dei partiti dell’arco costituzionale, comunisti compresi. E se non c’è riuscito il Gobbo più dritto d’Italia, come avrebbero potuto farcela i nani che lo hanno seguito?
E infatti oggi il debito pubblico ha messo la quinta e ne paghiamo le conseguenze. Solo per lo Stato spendiamo circa 760 miliardi. Il 40 per cento se ne va in pensioni, il resto lo assorbono gli stipendi (180 miliardi;) eppoi giustizia, sanità, difesa, istruzione, cultura, ambiente, ammortizzatori sociali, assistenza varia. Poi c’è il costo della Politica: per far funzionare il Parlamento ci vogliono 23 miliardi, gli stipendi di deputati e senatori ammontano a 144 milioni (ecco perché è necessario dimezzarli), i vitalizi 219 milioni. Per capirci: ogni voto che esprimiamo nei seggi ci costa 3 euri e mezzo; in Germania costa solo 38 centesimi. Le Province portano a casa oltre 20 miliardi per difendere il sacro suolo (ora che 36 sono a “rischio abolizione” ne vedremo delle belle) e, francamente, ci sembrano quattrini buttati al vento. Le auto blu di lorsignori ci costano un miliardo secco. Una cicalata orrenda. E siccome il mostro ogni anno, almeno contabilmente, va sedato, spendiamo altri 80-82 miliardi di interessi.
Come uscirne?
Gli esperti dicono che c’è un solo modo:forzare la crescita economica. Sulla “ricetta” sono d’accordo anche il Fondo monetario, la Commissione di Bruxelles e la Banca centrale europea. Ma per rilanciare la crescita prima bisogna debellare la diffusa corruzione. Giorni fa un magistrato mi ha detto: “Oggi, a vent’anni da Tangentopoli (1992) si ruba ancora ovunque, in cielo, in terra e in mare”. Ecco il “secondo mostro”. Questa corruzione dilagante crea rendite di posizione per i corrotti, penalizza i meritevoli e gli onesti, mortifica la competitività delle imprese. Dice Innocenzo Cipolletta, studioso del ramo:”Oggi la corruzione appare più forte di prima. Allora, nel ’92-94, furono scoperti molti casi di finanziamento illecito ai partiti e qualche caso di arricchimento personale. Oggi si assiste a molti casi di arricchimento e a qualche caso di finanziamento illecito (sesto San Giovanni)”. Se non fermiamo il mostro, siamo fritti.
Enrico Pirondini