Lettere

Politica spendacciona? Neppure a Tangentopoli il rifiuto di costi e privilegi raggiunse il livello attuale

Sono giorni anni tristi per questo povero paese. Tra malversazioni, corruttele, evasioni del fisco, immoralità pubbliche e private dei comportamenti della classe dirigente, l’etica civile è ormai la “cenerentola” della nostra convivenza. Tutto sembra essere maleodorante o prossimo al degrado.

In questi giorni imperversa la giusta condanna delle eccessive “entrate” dei nostri parlamentari.

È indubbio che negli anni il Parlamento, la più alta sede della democrazia, laddove si discutono e si approvano le leggi che riguardano tutti noi, in fatto di benefit e privilegi si è servito a dovere. Oggi, che il paese sta soffrendo una pesantissima crisi economica, ne scopriamo l’immoralità e l’insostenibilità e tutti siamo qui a lapidare genericamente i “costi della politica” perché ritenuti eccessivi. Ma a fronte di cosa?

È certo che secondo la maggioranza degli italiani il rapporto tra i costi, quelli appunto della politica, e i benefici, quelli di quanto essa sa produrre, sono insoddisfacenti. Per cause esterne quali le ricorrenti crisi economico-finanziarie globali e per la globalizzazione dei mercati? Forse. Per quel maledetto Debito Pubblico (DP) le cui colpe risalgono ai governi De Mita e Craxi degli anni ’80 e che non si sa come abbassare? Forse.

Allora perché nel 1979 con una crisi economica segnata da un’inflazione che era al 20% (ma con un debito pubblico che non arrivava al 63% del Pil), aggravata dal terrorismo brigatista, il livello del rifiuto dei costi e dei privilegi della politica non raggiunse quello attuale? E neppure successe nel 1992 quando l’Italia scopriva la metastasi di Tangentopoli, ovvero la perversa commistione tra potere economico e partiti politici e il Governo Amato per evitare il “default” della finanza pubblica fu costretto ad approvare una manovra di bilancio da 93 mila miliardi di lire (47 miliardi di euro di oggi) portando il DP al 120% (quello stesso di oggi). Non sarà perché l’idealità e la preparazione culturale in quella classe dirigente era ben più alta di questa nostra?

Un degrado etico e culturale, quello attuale, che ha sempre più favorito l’affermarsi dell’affarismo più cinico e illegale. Tutti hanno presente le recenti ignobili vicende della “cricca” e quanto avvenuto proprio in Parlamento.  “Usato” troppo spesso per fini personali, esso ha finito per essere uno sfacciato quanto avvilente “mercato” che ha fatto di molti onorevoli e senatori dei “mercenari” della politica.

Detto questo, è il momento di verificare se si continua a ritenere che la libertà è un bene assoluto, che la democrazia è l’unica forma nella quale questa libertà si manifesta e che i partiti politici sono le sue articolazioni. Se si conferma tutto questo è giusto porsi il problema di come rimediare perché il “sistema” democratico, a causa delle scarse risorse, non si sfarini in un sostanziale autoritarismo. Certamente cominciando a “potare” i sicuri eccessi dei privilegi di cui i parlamentari godono, non dimenticando però che molti di loro coprono con i loro stipendi parte dei costi che i propri partiti sul territorio sostengono per “fare politica”.

Ovvero, si intervenga sulle prebende, a volte anche antipatiche, dei parlamentari, senza dimenticare che, in quanto “legislatori”, è giusto che siano parificati a coloro che le loro leggi le applicano (i magistrati). E qui una chiosa. Fare in modo che chi legifera sia anche culturalmente preparato. Si rifletta al contempo sulla importanza dell’attività dei partiti per preservare lo stesso sistema democratico e quindi sulla necessità di riconsiderare il tema del finanziamento pubblico dei partiti, partendo dalla certificazione dei loro bilanci. È fondamentale che a fare proposte di questo tipo siano le forze progressiste, perché chi ha i soldi e può farne uno “personale” ha tutto l’interesse che nell’elettore resti il disagio e la protesta contro la politica “spendacciona”. In altre parole, si getti pur via l’”acqua sporca” dei privilegi, ma attenzione a non buttare via anche il “bambino” delle libertà democratiche.

 

Per il Gruppo di riflessione politica “il frantoio”
Benito Fiori

 

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