Politica

Sopprimere Lodi? Macchè la Lega sogna di togliere a Cremona parte del cremasco

Il presidente della Provincia Massimiliano Salini è pronto a correre in soccorso a Lodi proponendo una sinergia con il presidente leghista lodigiano Pietro Foroni per dar vita alla grande provincia di Cremona-Lodi allargandola in futuro a Piacenza e Mantova. L’accelerazione è dovuta al decreto legge del governo che, sulla carta, ha tagliato le province con meno di 300mila abitanti. Lodi è tra queste, così pure Piacenza. Ma  ecco che dopo nemmeno 24 ore dall’annuncio di Tremonti e Calderoli, è spuntata la “manina salva-Sondrio“: ”Nella notte una ‘manina’ lesta, pur di salvare il feudo leghista di Sondrio, nonché patria del ministro Tremonti (nato proprio a Sondrio il 18 agosto 1947), per quanto riguarda i criteri per abolire alcune province italiane, ha aggiunto nella manovra una norma in più”, ha denunciato in una nota il vice capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, Antonio Borghesi. “Sembrerebbe, infatti – spiega Borghesi – che si salveranno dall’abolizione le province che hanno più di 300mila abitanti e quelle che, pur avendone meno, hanno un’estensione che supera i tremila metri quadrati. Stranamente è proprio il caso di Sondrio che di abitanti ne ha solo 183 mila ma supera la superficie richiesta. A pensar male si fa peccato, diceva Andreotti, ma spesso ci si prende”.

Insomma si salverebbe Sondrio (e la pletora di province sarde con un pugno di abitanti) ma per Lodi e Piacenza il destino sembrerebbe segnato. Condizionale d’obbligo perchè dopo il referendum, se il decreto resterà in piedi dopo i tortuosi passaggi alle Camere, toccherà alle regioni interessate riorganizzare le province. Difficilmente l’Emilia cederà Piacenza alla Lombardia (ma di finire con Parma i piacentini non vogliono neanche pensarci e poi attenzione di Piacenza sono molti vertici politico-industriali-finanziari del Paese) così pure sarà complicato convincere la Lega (che ha come vicepresidente della Giunta Regionale il lodigiano Andrea Gibelli) a sopprimere Lodi (unica provincia lombarda) aggregandola a Cremona come vorrebbe Salini. Il vicegovernatore Andrea Gibelli da tempo sostiene che Lodi va aggregata con il solo cremasco (che, ricordiamolo, ha nell’organizzazione del partito del Carroccio la provincia cremasca) e lo stesso presidente della provincia lodigiana Foroni (leghista) ha già dichiarato che la sua preferenza sarebbe per la provincia Crema-Lodi, ritornando alla situazione del 1859 prima che Crema finisse con Cremona. Insomma attenzione perchè in una eventuale riorganizzazione potrebbe essere proprio Cremona a perderci, magari cedendo una parte del cremasco a Lodi per riequilibrare i territori. Sempre che lo strombazzato taglio delle province arrivi davvero in porto.

IL PD: «SI RIPENSI ANCHE A TRIBUNALI E MUNICIPALIZZATE»

La manovra continua a far polemica e a suscitare la nascita di proposte alternative. Ecco quella del capogruppo democratico in Consiglio provinciale Andrea Virgilio che mette in luce la necessità di riorganizzare i servizi sul territorio all’interno della stessa Provincia di Cremona, salvata dalla manovra. La spinta di Virgilio va nel senso di un ripensamento di Tribunali, ex Inam e municipalizzate per garantire «un buon servizio alla finanza pubblica, alla crescita e ai consumatori oltre a dividere la politica dalla gestione diretta degli interessi economici». Ecco l’intervento:

«Le proposte messe in campo dal Partito Democratico nella sua contromanovra sottolineano l’esigenza di introdurre in questo paese delle forti iniezioni di liberalizzazioni e di concorrenza anche con la possibilità di apertura al privato nei servizi pubblici locali, nella consapevolezza che il ricorso alle gare e il rafforzamento del ruolo degli enti locali come regolatori del servizio hanno la finalità di intaccare le rendite di monopolio.

E nel nostro paese sappiamo cosa hanno comportato molte realtà pubbliche sottratte alla concorrenza: sovradimensionamento degli organici, livelli salariali superiori, lottizzazione delle cariche, l’accantonamento di una cultura aziendale meritocratica, tutti ingredienti che hanno pesantemente contribuito a innalzare i costi dei servizi.

Non si tratta di una svolta, perché da sempre il PD ha sostenuto l’esigenza di riforme in grado di andare in questa direzione, è tuttavia una posizione importante che rompe una lettura strumentale e statalista fornita dall’esito dei recenti referendum sull’acqua.

C’è anche un altro aspetto rilevante che richiama a percorsi di razionalizzazione dei servizi sul territorio. Una sfida importante che ci invita a un’attenta riflessione  dentro a questa  provincia dove non è più pensabile ridurre la politica a  mera protettrice dell’esistente  ma diventa urgente sostenere dal basso  processi di riduzione della spesa e di ridefinizione dei servizi.

Penso per esempio alla presenza di due tribunali uno a Crema e l’altro a Cremona, all’accorpamento dei servizi nei piccoli comuni, all’inopportunità della raccolta firme sulla chiusura dell’ex Inam una struttura che costa al cittadino quasi due milioni di euro all’anno che potrebbero essere investiti in una logica di maggiore efficienza ed efficacia dei servizi sanitari, penso al bisogno di coinvolgere il privato in diversi settori del pubblico aprendo con maggiore forza al terzo settore e garantendo tuttavia un forte ruolo di direzione politica da parte di chi amministra.

Penso infine all’esigenza di razionalizzare il numero delle aziende pubbliche riducendo i consigli di amministrazione e quindi i costi della politica.

In questo modo si aprirebbero enormi opportunità di riforma del sistema politico, perché oggi nelle municipalizzate come nel settore sanitario si concentra la degenerazione del potere dei partiti (basta pensare all’arroganza e all’autoreferenzialità dei partiti nella vicenda delle nomine su AEM) attraverso cui si condiziona l’economia e il rapporto con il territorio.

In questo modo si garantirebbe un buon servizio alla finanza pubblica, alla crescita e ai consumatori oltre a dividere la politica dalla gestione diretta degli interessi economici».

 

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