Cultura

Standing ovation per Ugo Bellocchi

A soli sei giorni dalla morte di Umberto Bonafini (11 luglio), Reggio piange un altro suo grande giornalista: Ugo Bellocchi. Mi inserisco nel cordoglio (unanime) per ricordare un gioiello del professore, salito agli onori delle cronache nazionali, per aver presentato su Rai Uno – giusto 25 anni fa! –  il suo inedito “Inno del Tricolore”; inno salutato dal pubblico in studio con una autentica ed interminabile ovazione.

I fatti. Siamo verso la fine del 1985 quando ricevo una telefonata dal giornalista e amico Mino Damato, conduttore di “Domenica In” (Rai Uno), già famoso per aver ben pilotato due anni prima una trasmissione come “Italia sera”, programma che “sperimentava l’informazione come intrattenimento”. Mi dice: «Ho letto che a Reggio Emilia il professor Bellocchi ha composto un bel Inno del Tricolore, musicato da Hengel Gualdi. Mi piacerebbe presentarlo in diretta a “Domenica In”. Organizza le cose e vieni tu a parlarne».

Trovato il coro, incassata l’adesione di Gualdi, troviamo la data giusta. Non domenica 5 gennaio 1986, come chiedeva Rai Uno, io mi opposi perché il 5 gennaio iniziava il girone di ritorno della Serie A ed io, all’epoca inviato de Il Giorno, dovevo seguire Pisa-Inter. Era l’Inter di Mariolino Corso allenatore, Zenga in porta, Altobelli e Rummenigge là davanti. Per la cronaca ricordo che vinse il Pisa di mister Guerini (1-0, gol di Baldieri). Propongo allora domenica 12 gennaio 1986 (l’Inter gioca a Bergamo, la Roma riceve l’Udinese, la Juve del Trap ospita il Como di Marchesi, il Milan se la vede a San Siro con il Lecce; insomma pare una giornata normale). Va bene. Data accettata.

Comunisti, via! – Il coro arriva a Roma in pulman, da Reggio, in mattinata, e chiede di fare le prove. Negli studi della Rai non si può, allora con Bellocchi e Gualdi vado nella vicina chiesa di piazzale Clodio e strappo il permesso al parroco che prima nicchia, resiste, non ci vuole affatto («Siete di Reggio Emilia, dunque tutti comunisti!»);  eppoi, viste le liete facce dei coristi, accetta di ospitarci «ma solo a messa conclusa». Le prove sono perfette, il coro in grande forma. Suggerisco ad Henghel di “svisare” un po’ col clarinetto, durante l’esecuzione, “sormontando” il pianista che si limitava ad infilare accordi di circostanza. Henghel acconsente, ma prima vuole passare al bar per un grappino. Alle undici del mattino! E al bar Henghel Gualdi (1924-2005), il fenomeno nato a San Martino in Rio, dice «ero stufo di sentire “dov’è la vittoria?”, sembrava che cercassero mia cognata». E lancia a Bellocchi il più bel sorriso del mondo.

Applausi – la Diretta su Rai Uno è da antologia. Un effettaccio. Perché il testo dell’Inno è un coro verdiano (il coro è sempre presente nelle opere di Verdi). Al pubblico ricorda il Coro di Crociati e Pellegrini “O Signore, dal tetto natio” (IV,3). Ma anche, per solennità, il Coro di Ebrei del Nabucco “Va pensiero sull’ali dorate” (III,4). Gualdi “svisa” nel finale, va lassù  a prendere note  impossibili,  è in forma splendida; come nel 1968 a Sanremo quando era accanto a Louis Armstrong in “Mi va di cantare”; come a Riccione nel 1982 al “Memorial clarinet” con Pupi Avati e Gianni Sangiust. Come avrebbe fatto, di lì a poche settimane, sul set del film “Dancing Paradise” con il coro dell’Antoniano e la sua Big Band.

Bellocchi esce dagli studi Rai festeggiatissimo. Mino Damato lo ossequia e lo ringrazia. Il personale della diretta gli rinnova gli applausi. Ma che bella giornata quel 12 gennaio 1986! Grazie professore.

Enrico Pirondini

 

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